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Disabili, il datore di lavoro è obbligato a concederti lo smart working, è un accomodamento ragionevole: la Cassazione

Pubblicato il: 17/01/2025

L'avvento e lo sviluppo della tecnologia digitale stanno progressivamente determinando nei sistemi di organizzazione produttiva – e più in generale nel mercato del lavoro – un cambio di paradigma. Una delle innovazioni che costituiscono questo nuovo scenario è stato lo smart working, declinato nel nostro ordinamento.

E non vi è dubbio che tale modalità di lavoro riveste una rilevanza incisiva in riferimento alle categorie dei lavoratori fragili, affetti da disabilità.

Con la sentenza n. 605 del 10 gennaio 2025, la Corte di Cassazione segna in materia una svolta, conferendo all’istituto del lavoro agile lo status di “accomodamento ragionevole”, vincolante per il datore di lavoro rappresentando esso una soluzione compatibile con i principi di inclusione e sostenibilità organizzativa.
Si rammenta che – ai sensi della predetta Convenzione ONU sui diritti della disabilità (cui l'Italia aderisce) – per “accomodamento ragionevole” si intendono le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo, adottati – ove ve ne sia necessità in casi particolari – per garantire alle persone con disabilità il godimento e l'esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali.

Quali i fatti all’esame della Suprema Corte?
Un dipendente affetto da grave invalidità visiva ricorre giudizialmente di fronte al rifiuto opposto dal datore di lavoro alla relativa richiesta di poter lavorare in smart working. La Corte d'Appello aveva già accolto la sua istanza, ritenendo che l'azienda dovesse adattarsi alle esigenze del lavoratore, prevedendo soluzioni che non impattassero in modo sproporzionato sui costi aziendali. La Cassazione ha confermato la decisione, sottolineando che l'obbligo di accomodamento è vincolante per il datore di lavoro.

Qual è l’implicazione di questo principio?
Il pronunciamento della Cassazione stabilisce un principio giurisprudenziale fondamentale, che potrà guidare future controversie e rafforzare il diritto dei lavoratori disabili a un trattamento equo e non discriminatorio. Annoverare, infatti, il lavoro agile nell’ampia categoria di accomodamenti ragionevoli ha come intrinseca conseguenza quella di qualificare come discriminatorio il rifiuto datoriale ad accordare al lavoratore disabile queste modalità di esecuzione della prestazione. La norma interessata è l’art. 3, comma 3 bis, D. Lgs. n. 216 del 2003.

E come si può favorire la protezione del diritto alla prestazione da remoto?
Al riguardo si segnala il ruolo svolto dall'Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità. Diverse infatti sono le funzioni che il legislatore gli attribuisce, ma quella che più rileva è l'esercizio di stringenti poteri di verifica al fine di contrastare i fenomeni di discriminazione diretta, indiretta o di molestie (già contrastati dall'art. 2 bis della L. 104/1992), in ragione della condizione di disabilità e del rifiuto dell'accomodamento ragionevole.

Il Garante può infatti svolgere verifiche, d'ufficio o a seguito di segnalazione, sull'esistenza di fenomeni discriminatori. Egli valuta le segnalazioni ricevute e:

  • nel caso in cui un'amministrazione pubblica adotti un provvedimento o un atto amministrativo generale in relazione al quale la parte lamenta una violazione dei diritti della persona con disabilità, una discriminazione o lesione di interessi legittimi, emette un parere motivato nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate e, ove possibile, propone il ricorso all'autotutela amministrativa entro novanta giorni (articolo 5, comma 2, primo periodo);
  • nelle ipotesi in cui le verifiche suddette hanno ad oggetto il mancato adeguamento a quanto previsto dai piani per l'eliminazione di barriere architettoniche, il Garante può proporre all'amministrazione competente un cronoprogramma per rimuovere le barriere e vigilare sugli stati di avanzamento.

Nei casi di urgenza dovuta al rischio di un danno grave e irreparabile per i diritti delle persone con disabilità, ove non sia stata promossa azione giudiziaria, il Garante può, anche d'ufficio, a seguito di un sommario esame circa la sussistenza di una grave violazione del principio di non discriminazione in danno di una o più persone con disabilità, proporre l'adozione di misure provvisorie.

Si consente, inoltre, al Garante di ricorrere al giudice amministrativo in caso di mancata o non corretta adesione, da parte delle pubbliche amministrazioni, alle proposte prospettate nell'ambito del proprio parere, rispetto a provvedimenti o atti amministrativi che determinano discriminazioni o violazioni di diritti e interessi delle persone con disabilità.


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