Pubblicato il: 06/02/2025
Affinché il contribuente possa evitare l’imposizione fiscale su tali somme, deve dimostrare che si tratta di importi non imponibili, il che può avvenire in due ipotesi principali.
La prima riguarda le somme esenti da tassazione, come nel caso di donazioni di modico valore, risarcimenti del danno, vendite di beni usati o rimborsi.
La seconda ipotesi si verifica quando le somme sono già state tassate alla fonte, come accade per vincite al gioco, premi o somme soggette a ritenuta d’acconto.
In entrambi i casi, l’onere della prova ricade interamente sul contribuente, che deve fornire elementi concreti e documentali a supporto della propria dichiarazione. Tuttavia, non è sufficiente una prova orale o una dichiarazione generica: il Fisco richiede prove documentali precise e aventi “data certa”, ossia validate da una marca temporale o da un pubblico ufficiale. Ad esempio, se il denaro deriva dalla vendita di un bene personale, è consigliabile registrare il contratto di compravendita presso l’Agenzia delle Entrate, anche se la legge non lo impone. In mancanza di documentazione, il contribuente potrebbe trovare difficoltà a dimostrare la legittimità delle somme versate.
Sul piano giurisprudenziale, la Corte di Cassazione ha chiarito che il contribuente deve dimostrare, per ogni singolo versamento bancario, che le somme non derivano da operazioni imponibili. Tale principio è stato ribadito in diverse sentenze (Cass. n. 16953/2019, n. 17413/2022, n. 24367/2021), sottolineando che la prova fornita non può essere generica, ma deve essere analitica e dettagliata. La Cassazione ha anche riconosciuto la possibilità di difendersi attraverso presunzioni semplici, purché gli elementi forniti siano gravi, precisi e concordanti (Cass. n. 17413/2022).
Un aspetto rilevante riguarda i trasferimenti di denaro tra conti intestati allo stesso contribuente. La giurisprudenza ha stabilito che i cosiddetti “giroconti” non costituiscono operazioni imponibili, anche se effettuati in contanti (Cass. n. 39673/2021). In questi casi, il contribuente può sostenere che si tratta di mere movimentazioni finanziarie senza rilevanza fiscale, ma è comunque consigliabile fornire una relazione dettagliata sulla provenienza delle somme, allegando eventuali documenti a supporto.
I controlli sui versamenti in contanti non sono indefiniti nel tempo, ma devono avvenire entro precisi termini di decadenza. Se il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi, ma ha omesso di dichiarare somme imponibili, l’Agenzia delle Entrate può procedere all’accertamento entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello della dichiarazione, quindi fino a sei anni dal versamento. Se, invece, il contribuente non ha presentato la dichiarazione pur essendo obbligato a farlo, il termine si estende al 31 dicembre del settimo anno successivo, portando il periodo di controllo fino a otto anni dal versamento.
Nel caso in cui il contribuente non riesca a dimostrare la provenienza lecita delle somme versate in contanti, l’Agenzia delle Entrate procede con il recupero a tassazione degli importi, applicando l’aliquota IRPEF corrispondente al reddito del soggetto. Inoltre, viene irrogata una sanzione amministrativa pari al 70% della somma non giustificata, con un minimo di 150 euro.
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