Pubblicato il: 08/05/2025
Si tratta di una questione importante, che coinvolge sia la sfera dei diritti dei lavoratori sia le esigenze organizzative delle aziende. Secondo la normativa italiana, infatti, non è vietato in assoluto programmare la formazione fuori dall’orario lavorativo, ma esistono regole ben precise a tutela dei dipendenti.
Formazione e orario di lavoro: quando il tempo formativo è tempo retribuito
Due normative fondamentali regolano il tema della formazione obbligatoria.
La prima è quella di cui al d.lgs. 81/2008, il c.d. Testo unico sulla sicurezza sul lavoro. In particolare, l’art. 37 della normativa citata impone che, per i corsi dedicati alla prevenzione e protezione nei luoghi di lavoro, la formazione venga effettuata durante l’orario di lavoro. Inoltre, è vietato imporre qualsiasi costo a carico del lavoratore.
In altre parole, il tempo trascorso in aula (fisica o virtuale) per adempiere agli obblighi di sicurezza viene considerato parte integrante della prestazione lavorativa e, come tale, retribuito.
Altra disciplina fondamentale è quella contenuta nel d.lgs. 104/2022, c.d. Decreto Trasparenza, che amplia il concetto di formazione obbligatoria includendovi tutti i percorsi richiesti per legge o dai contratti collettivi. L’art. 11 chiarisce che, anche in questi casi, la formazione deve essere gratuita per il lavoratore e, ove possibile, organizzata durante l’orario contrattuale.
Pertanto, secondo le norme richiamate, i corsi di formazione dovrebbero idealmente svolgersi durante il turno lavorativo. Tuttavia, il legislatore ha lasciato aperta la porta a situazioni eccezionali in cui questo non è possibile. Alcuni esempi? Formatori disponibili solo in orari specifici, necessità di non interrompere il servizio al pubblico o presenza di più turni da coordinare.
La formazione fuori orario è legale?
Sì, lo è. La Corte di Cassazione ha chiarito che il concetto di “orario di lavoro” non si limita alle ore ordinarie (come il classico 9-18), ma comprende ogni fascia in cui il datore può chiedere al dipendente di svolgere le proprie mansioni. Questo vale anche per l’aggiornamento professionale che, quindi, viene considerato a tutti gli effetti attività lavorativa, indipendentemente dall’orario in cui si svolge.
Di conseguenza, la formazione svolta di sera o nel weekend rientra nel monte ore settimanale ed è retribuita. Se con il corso si supera l’orario previsto dal contratto (ad esempio, 40 ore), le ore in eccesso devono essere retribuite come straordinario, con le maggiorazioni previste dal contratto collettivo. Il calcolo è semplice: ore lavorate + ore di formazione = orario totale da retribuire, con le eventuali eccedenze maggiorate.
Si può rifiutare di svolgere la formazione se non è in orario?
Sì, ma solo in casi specifici. Se il corso è obbligatorio per legge, contratto o per esigenze di sicurezza, non è possibile opporre un rifiuto immotivato. Naturalmente, il datore di lavoro deve garantire tutte le condizioni: retribuzione, nessun costo a carico del lavoratore e rispetto dei suoi diritti. Se uno di questi elementi manca, è possibile far valere le proprie ragioni.
Chi paga la formazione obbligatoria?
Mai il dipendente. È un principio chiaro, ribadito più volte anche dalla normativa sulla sicurezza: ogni onere, diretto o indiretto, deve essere sostenuto dall’azienda. Questo include il costo del corso, i materiali forniti, eventuali spese di trasporto o trasferte legate all’organizzazione del percorso formativo.
Cosa rischia chi ignora la formazione?
Non investire nella formazione dei dipendenti può costare caro. Se un lavoratore resta coinvolto in un infortunio e l’azienda non ha fornito la necessaria preparazione, la responsabilità ricade sul datore di lavoro. La Cassazione (sent. n. 15697/2025) ha confermato che il mancato adempimento dell’obbligo di formazione può essere considerato causa diretta del danno, soprattutto se il lavoratore non era stato informato sui rischi e sulle misure di prevenzione da adottare. In questi casi, può scattare anche una condanna per lesioni colpose.
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