Pubblicato il: 09/08/2025
Quando un soggetto vanti un credito nei confronti di un pensionato, può rivolgersi al giudice per ottenere un titolo esecutivo. Fatto questo, il creditore notifica al pensionato-debitore l'atto di precetto, che contiene l'intimazione ad adempiere nel termine di 10 giorni.
In caso di inerzia del debitore, il creditore notifica l'atto di pignoramento presso terzi anche all'INPS, che provvederà a "congelare" la somma pignorabile sulla pensione. In questo caso si applica l’art. 545 del c.p.c., che tutela il cosiddetto “minimo vitale”: una soglia oggi fissata a 1.000 euro mensili. Solo ciò che eccede questa cifra può essere pignorato e, comunque, solo nella misura di un quinto.
La trattenuta diretta
Per capire quanto può incidere la trattenuta diretta, vediamo un caso pratico. Poniamo che la pensione netta mensile sia di 1.450 euro.
- minimo vitale tutelato: 1.000 euro;
- importo pignorabile: 450 euro;
- quota trattenibile (1/5): 90 euro;
- pensione residua: 1.360 euro.
Se, invece, l’INPS agisce con trattenuta diretta:
- base di calcolo: sempre 1.450 euro;
- quota trattenuta (1/5): 290 euro;
- pensione residua: 1.160 euro.
Più volte la giurisprudenza ha confermato la piena legittimità della trattenuta diretta da parte dell’INPS, che costituisce un canale privilegiato per il recupero dei propri crediti, ritenendolo coerente con la natura pubblica del soggetto creditore.
Tuttavia, questa scelta normativa solleva non pochi interrogativi sul piano costituzionale (art. 3 Cost.). Perché mai un pensionato dovrebbe essere meno protetto se il creditore è l’INPS e non una banca o una finanziaria?
Una riforma necessaria, per dignità e giustizia
La discrezionalità che la legge riconosce oggi all’INPS ha un effetto collaterale grave: penalizza proprio quei cittadini che, in teoria, dovrebbero essere più tutelati. Il sistema di recupero dei crediti dovrebbe garantire uniformità e rispetto della dignità personale, non differenze basate su chi sia il creditore.
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