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Abbandonare una casa o un terreno indesiderato, adesso puoi farlo senza che lo Stato possa opporsi: sentenza Cassazione

Pubblicato il: 21/08/2025

Per decenni, i proprietari di immobili privi di valore o utilità hanno dovuto affrontare enormi difficoltà per liberarsene, oltre all’obbligo di pagare tasse e spese per un bene che non si riusciva a sfruttare né a cedere. Immaginiamo, ad esempio, il proprietario di un terreno inedificabile o non coltivabile a causa delle condizioni del terreno, oppure di problematiche logistiche nella zona (mancanza di acqua corrente, estrema lontananza da un centro abitato): lo stesso si trovava costretto a continuare a possedere quel terreno, senza poterlo semplicemente abbandonare, nonostante comportasse per lui solo oneri.

In questo scenario, arriva un cambiamento radicale grazie a una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la sentenza n. 23093 depositata l’11 agosto 2025. Gli Ermellini hanno stabilito che la rinuncia alla proprietà immobiliare è un atto unilaterale non recettizio e lo Stato non ha alcun potere di opporsi.

Una scelta che nasce da un caso concreto
La pronuncia delle Sezioni Unite ha per oggetto il caso di due sorelle che volevano rinunciare ad alcuni terreni agricoli, in quanto privi di qualsiasi utilità. Convinte della legittimità della loro scelta, si erano rivolte a un notaio per formalizzare un atto unilaterale di rinuncia.
Tuttavia, il Ministero dell’Economia e l’Agenzia del Demanio hanno impugnato l’atto, sostenendo che una simile operazione fosse illegittima se mossa solo dal desiderio di liberarsi di un peso economico, poiché la Costituzione (art. 42 Cost.) assegna alla proprietà privata una “funzione sociale, che non sarebbe compatibile con un abbandono motivato da un fine puramente egoistico.

Il significato giuridico della rinuncia unilaterale
La pronuncia delle Sezioni Unite fissa due principi di diritto.
Con il primo, la Corte ha chiarito che “la rinuncia alla proprietà immobiliare è atto unilaterale e non recettizio, la cui funzione tipica è soltanto quella di dismettere il diritto, in quanto modalità di esercizio e di attuazione della facoltà di disporre della cosa accordata dall’art. 832 del c.c., realizzatrice dell’interesse patrimoniale del titolare protetto dalla relazione assoluta di attribuzione, producendosi ex lege l’effetto riflesso dell’acquisto dello Stato a titolo originario, in forza dell’art. 827 del c.c., quale conseguenza della situazione di fatto della vacanza del bene. Ne discende che la rinuncia alla proprietà immobiliare espressa dal titolare “trova causa”, e quindi anche riscontro della meritevolezza dell’interesse perseguito, in sé stessa, e non nell’adesione di un altro contraente”.

In altre parole, la rinuncia alla proprietà è un negozio giuridico unilaterale e non recettizio, il cui effetto diretto è quello di trasferire la proprietà del bene “abbandonato” direttamente allo Stato. Pertanto, non occorre alcuna accettazione: è sufficiente redigere un atto pubblico o una scrittura privata autenticata e procedere con la trascrizione nei registri immobiliari.
Con la trascrizione, la proprietà si estingue per il privato e il bene diventa automaticamente parte del patrimonio dello Stato in base all’art. 827 c.c., che disciplina i cosiddetti “beni vacanti”. L’acquisizione non è quindi frutto di una scelta dell’amministrazione, ma un effetto legale diretto per il quale non sussiste alcuna possibilità di rifiuto.

Il “fine egoistico” diventa legittimo
Nel secondo principio di diritto, le Sezioni Unite hanno statuito che “allorché la rinuncia alla proprietà immobiliare, atto di esercizio del potere di disposizione patrimoniale del proprietario funzionalmente diretto alla perdita del diritto, appaia, nondimeno, animata da un “fine egoistico”, non può comprendersi tra i possibili margini di intervento del giudice un rilievo di nullità virtuale per contrasto con il precetto dell’art. 42, secondo comma, Cost., o di nullità per illiceità della causa o del motivo: ciò sia perché le limitazioni della proprietà, preordinate ad assicurarne la funzione sociale, devono essere stabilite dal legislatore, sia perché non può ricavarsi dall’art. 42, secondo comma, Cost., un dovere di essere e di restare proprietario per “motivi di interesse generale”. Inoltre, esprimendo la rinuncia abdicativa alla proprietà di un immobile essenzialmente l’interesse negativo del proprietario a disfarsi delle titolarità del bene, non è configurabile un abuso di tale atto”.

Più semplicemente, la funzione sociale della proprietà, prevista dall’art. 42 Cost., non implica affatto un dovere per il proprietario di conservarla a tutti i costi. Secondo la Cassazione, questo principio serve a consentire alla legge di imporre limiti e vincoli in nome dell’interesse generale, ma non a trasformare il cittadino in un gestore forzato di un bene inutile.
Se il valore economico e l’utilità sono venuti meno, il proprietario può scegliere di abbandonare l’immobile anche solo per evitare ulteriori spese. Questa decisione, seppure mossa da un fine egoistico, rientra pienamente nell’esercizio legittimo del diritto di disposizione.

Limiti e responsabilità che restano
La Corte ha però posto dei limiti, precisando che, se esistono obblighi di legge collegati al bene – per esempio la bonifica di un terreno inquinato – il proprietario non può sottrarsi semplicemente rinunciando alla proprietà. In questi casi, l’atto di rinuncia è valido, ma l’obbligo rimane finché la legge lo impone, perché riguarda la tutela di interessi pubblici che prevalgono.

Conseguenze concrete per cittadini e pubbliche amministrazioni
Questa decisione apre nuove prospettive sia per i privati che per le imprese. Chi è proprietario di immobili ingestibili, in rovina o di terreni inutilizzabili ha, ora, una via d’uscita totalmente legittima. Anche le aziende possono riorganizzare la gestione del proprio patrimonio, abbandonando terreni o immobili non più strategici o economicamente sostenibili.
Per lo Stato e i Comuni, invece, la sentenza comporta un inevitabile aumento di beni acquisiti “di riflesso”, con la necessità di affrontare i relativi oneri di gestione, messa in sicurezza e fiscalità.


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