Pubblicato il: 19/09/2025
- garantire la piena disponibilità del lavoratore pubblico verso l’amministrazione;
- evitare condizionamenti esterni derivanti da interessi privati incompatibili.
Da ciò deriva che, oltre al danno legato al minor rendimento, può configurarsi un danno ulteriore per violazione del dovere di fedeltà, anch’esso di matrice costituzionale.
In sostanza, la retribuzione pubblica rappresenta non solo il corrispettivo della prestazione lavorativa in senso stretto, ma anche della lealtà e imparzialità richieste al dipendente, elementi essenziali per garantire l’efficienza, l’indipendenza e la neutralità dell’azione amministrativa (artt. 97, comma 2, e 98 Cost.).
Nel caso di specie, la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Toscana, sentenza n. 99 del 14 agosto 2025, ha rilevato la violazione del principio di esclusività, poiché il docente ha esercitato attività imprenditoriale non autorizzata e non autorizzabile, assumendo il ruolo di amministratore in società a scopo di lucro.
Non ha valore esimente, ad avviso del collegio contabile, la circostanza che il docente avesse ottenuto autorizzazioni annuali per l’esercizio della libera professione di commercialista. Infatti, sebbene la normativa professionale consenta in astratto l’amministrazione di aziende (art. 1 D.Lgs. n. 139 del 2005), l’autorizzazione rilasciata dal dirigente scolastico non può superare il divieto assoluto imposto dalla normativa primaria.
In particolare, l’art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 ribadisce l’incompatibilità tra impiego pubblico e attività di impresa, mentre l’art. 508 del D.Lgs. n. 297 del 1994 – recante il Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado – conferma, per il personale scolastico, il divieto assoluto di ricoprire cariche in società con fine di lucro.
Anche se, in linea generale, il docente può essere autorizzato a svolgere attività libero-professionale, l’art. 508, comma 10 vieta categoricamente lo svolgimento di attività commerciali, industriali o professionali retribuite non strettamente compatibili, prevedendo addirittura la decadenza dall’impiego in caso di inottemperanza alla diffida dell’amministrazione entro 15 giorni.
E se un pubblico dipendente svolge attività non autorizzata e non provvede al riversamento dei compensi percepiti in violazione del precitato art. 53, comma 7, si determina la conseguente responsabilità erariale per mancata pari entrata nelle casse dell’amministrazione di appartenenza.
Nel caso esaminato, in assenza di una retribuzione documentata, la Corte dei Conti ha ritenuto necessario ricorrere a una valutazione equitativa, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., per quantificare l’importo che il dipendente avrebbe dovuto riversare all’amministrazione. Tale importo costituisce il danno erariale, risultante dalla violazione dell’obbligo di esclusività.
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