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Matrimonio, se non viene trascritto subito, il coniuge può rifiutarsi di farlo dopo, “annullandolo” senza risarcimento

Pubblicato il: 23/09/2025

Di recente la Cassazione si è pronunciata su una questione tutt’altro che frequente, ovvero cosa accade se un matrimonio celebrato in chiesa non viene trascritto nei registri dello stato civile? E, soprattutto, cosa succede se, anni dopo, uno dei coniugi vuole procedere alla trascrizione e l’altro invece si oppone?
La vicenda riguarda due coniugi messinesi che, dopo essersi sposati regolarmente nel 2009, si accorgevano solo al momento della separazione – avviata l’anno successivo – che il parroco non aveva mai inviato l’atto all’ufficiale dello stato civile. Pertanto, il matrimonio non era mai stato trascritto. Ne è derivata una lunga battaglia legale, conclusasi con l’ordinanza n. 24409 del 2 settembre 2025.

La posizione dei giudici di merito
La moglie, decisa a regolarizzare la posizione per poi procedere con la separazione giudiziale, chiedeva al marito di sottoscrivere con lei la trascrizione tardiva. Lui, però, si era rifiutato. A questo punto, la donna, sostenendo di aver subito danni patrimoniali legati alle spese affrontate in previsione di un matrimonio che aveva avuto vita brevissima, agiva in giudizio chiedendo il risarcimento, sia nei confronti del coniuge che si opponeva, sia nei confronti del parroco inadempiente all’obbligo di trasmissione dell’atto.

Il Tribunale rigettava la domanda. In primo luogo, rilevava che la moglie non aveva esperito gli strumenti previsti dalla normativa vigente per ottenere comunque la trascrizione. L’art. 95 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 consente ai coniugi di chiedere l’accertamento dell’effettiva celebrazione e del possesso dello stato coniugale, così da ottenere una trascrizione con effetti retroattivi (ex tunc).

Si tratta di un rimedio che valorizza la certezza dello stato civile, ma che richiede un’attivazione diretta della parte interessata, la quale non può limitarsi a lamentare l’inerzia del parroco o il diniego dell’altro coniuge. Proprio questo profilo è stato sottolineato dai giudici di merito: la moglie, non avendo attivato tale procedura, non poteva addossare al marito o al sacerdote la responsabilità per l’omessa trascrizione.

In secondo luogo, il Tribunale escludeva che il rifiuto del marito potesse configurarsi come condotta illecita: non esiste, infatti, alcun obbligo giuridico di prestare consenso alla trascrizione tardiva, trattandosi di scelta legata a un atto personalissimo.

La Corte d’Appello di Messina confermava integralmente la sentenza di prime cure. Nella motivazione si sottolinea che l’opposizione del marito alla trascrizione non può essere considerata fonte di responsabilità civile, poiché la normativa distingue nettamente tra il consenso alla celebrazione religiosa e la decisione di attribuire rilevanza civile al vincolo. A distanza di anni dalla celebrazione, non può presumersi che la volontà originaria permanga immutata. L’eventuale ripensamento rientra nel diritto di autodeterminarsi liberamente rispetto a una scelta che incide profondamente nella sfera personale.

Quanto al parroco, la Corte territoriale osservava che la mancata trascrizione non costituisce causa immediata e diretta del danno lamentato, né impedisce al coniuge di attivare autonomi rimedi, ad esempio per la restituzione di beni acquistati in vista della convivenza. La ricorrente, inoltre, non aveva fornito prova concreta dei pregiudizi economici subiti.

La cornice normativa: dal Concordato al Codice civile
Per comprendere la portata della decisione è utile richiamare brevemente il quadro giuridico.
Innanzitutto, l’art. 82 del c.c. stabilisce che il matrimonio religioso produce effetti civili solo se trascritto nei registri dello stato civile. In mancanza, lo stesso resta valido solo sul piano canonico.
L’Accordo di revisione del Concordato del 1984 (legge n. 121/1985) disciplina nel dettaglio la trascrizione: il parroco deve richiederla entro cinque giorni dalla celebrazione. È ammessa anche la trascrizione tardiva, ma solo a condizione che entrambi i coniugi siano liberi di stato e che non vi sia opposizione di uno di essi.

Questa regola segna la differenza rispetto al vecchio regime concordatario del 1929, che consentiva la trascrizione in ogni tempo su richiesta di chiunque vi avesse interesse. La riforma ha introdotto invece il limite espresso: senza il consenso di entrambi, o almeno senza l’opposizione dell’altro, l’atto non può essere trascritto.

La decisione della Cassazione
La Suprema Corte, nel confermare le valutazioni dei giudici di merito, ha ribadito un principio chiaro: il coniuge che rifiuta la trascrizione tardiva non commette alcun illecito. Al contrario, esercita un diritto fondamentale, ossia quello di decidere liberamente se attribuire o meno effetti civili a un vincolo religioso.

Il punto centrale della motivazione riguarda la natura personalissima della scelta di attribuire effetti civili a un matrimonio religioso. Se la trascrizione tempestiva nei cinque giorni successivi è idonea a far presumere il consenso, trascorso quel termine occorre un atto positivo di volontà. L’opposizione di un coniuge, quindi, non costituisce atto illecito, ma esercizio legittimo di un diritto fondamentale.

La Cassazione richiama espressamente il principio di autodeterminazione: ogni persona deve essere libera di stabilire se un vincolo religioso debba o meno produrre effetti giuridici sul piano civile. Tale libertà non può essere compressa imponendo la trascrizione contro la volontà di uno dei coniugi.
Infine, gli Ermellini hanno ricordato che la responsabilità del parroco non può essere fatta discendere automaticamente dall’omessa richiesta di trascrizione, soprattutto quando – come in questo caso – la parte che si ritiene danneggiata non fornisce prova concreta di un pregiudizio patrimoniale.


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