Pubblicato il: 14/11/2025
Tra le modifiche presentate alla manovra finanziaria spunta una proposta che sta facendo discutere: negare la pensione di reversibilità alle unioni civili. Il senatore della Lega Claudio Borghi ha dichiarato apertamente come questo sia uno degli emendamenti a cui tiene maggiormente. La sua posizione è netta: "se vuoi la reversibilità, ti sposi", una frase che però ignora un dettaglio fondamentale della legislazione italiana. Nel nostro Paese, infatti, il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è ancora consentito, rendendo le unioni civili l'unica forma di riconoscimento giuridico disponibile per le coppie omosessuali.
Non è ancora chiaro se questa proposta rappresenti una posizione personale del senatore o un orientamento condiviso dall'intero partito, né tantomeno se riuscirà a superare i controlli di legittimità costituzionale. Quello che è certo è che l'intenzione di smantellare un diritto acquisito nel 2016 sta sollevando interrogativi e preoccupazioni sul futuro dei diritti delle coppie dello stesso sesso.
Come funziona oggi il diritto alla reversibilità
Attualmente, la pensione di reversibilità spetta anche alle unioni civili, esattamente alle stesse condizioni previste per i coniugi sposati. Questo principio è stato stabilito dalla Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze (legge n. 76 del 2016), che ha introdotto nel nostro ordinamento il riconoscimento delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. La piena equiparazione sul piano previdenziale è stata confermata dalla circolare Inps n. 5171 del 2016, attraverso la quale l'Istituto ha riconosciuto formalmente gli stessi diritti pensionistici ai partner di unioni civili. Anche la Corte di Cassazione si è pronunciata favorevolmente, sottolineando come negare questo diritto violerebbe il principio costituzionale di uguaglianza.
Il partner superstite di un'unione civile ha, quindi, diritto a ricevere generalmente il 60% della pensione percepita o maturata dal compagno deceduto, secondo quanto stabilito dalla legge n. 335 del 1995. Per ottenere l'erogazione è necessario presentare domanda all'Inps, allegando la documentazione che attesta sia l'unione civile che il decesso del partner. Diversa è invece la situazione delle convivenze di fatto, anch'esse regolamentate dalla legge Cirinnà, ma senza equiparazione al matrimonio: in questo caso il convivente superstite non ha accesso alla pensione di reversibilità, poiché la normativa non estende queste tutele previdenziali alle unioni informali.
I precedenti della Corte Costituzionale
L'eventuale approvazione di un emendamento che cancelli la reversibilità per le unioni civili si troverebbe probabilmente a fare i conti con la Corte Costituzionale. Il diritto alla reversibilità per le coppie dello stesso sesso non è frutto di una scelta arbitraria, ma rappresenta il punto di arrivo di un percorso giurisprudenziale lungo e articolato. Già prima dell'approvazione della legge Cirinnà, la Consulta aveva più volte ribadito che le coppie omosessuali hanno diritto a una tutela equivalente a quella riconosciuta alle coppie sposate, in virtù degli articoli 2, 3 e 29 della Costituzione.
Tre sentenze, in particolare, hanno fatto da apripista: la n. 138 del 2010, la n. 170 del 2014 e la n. 221 del 2015. In queste pronunce, la Corte ha chiarito in modo inequivocabile che non può esistere uno status inferiore per le unioni tra persone dello stesso sesso, poiché ciò configurerebbe una palese violazione del principio di uguaglianza sancito dalla nostra Carta fondamentale. Questi orientamenti giurisprudenziali hanno di fatto obbligato il legislatore a intervenire, portando all'approvazione della legge n. 76 del 2016, che ha formalizzato i diritti già riconosciuti dalla giurisprudenza costituzionale.
Una proposta costituzionalmente discutibile
La proposta avanzata da Borghi solleva, quindi, non poche perplessità sotto il profilo della compatibilità costituzionale. Un'abrogazione selettiva del diritto alla reversibilità per le unioni civili produrrebbe un trattamento apertamente discriminatorio, difficilmente sostenibile davanti alla Corte Costituzionale e in contrasto con gli standard europei in materia di parità di trattamento. La legge Cirinnà, infatti, non ha inventato nuovi diritti dal nulla, ma si è limitata a tradurre in norme scritte principi già affermati dalla giurisprudenza costituzionale. Cancellare selettivamente la reversibilità per le unioni civili significherebbe creare una disparità di trattamento tra cittadini che si trovano in condizioni sostanzialmente analoghe, discriminando sulla base dell'orientamento sessuale. Questo è esattamente ciò che la Consulta ha ripetutamente vietato nelle sue sentenze.
L'Unione Europea, inoltre, da tempo richiede agli Stati membri di garantire parità di trattamento per tutte le forme di unione riconosciute dall'ordinamento. Un passo indietro su questo fronte esporrebbe l'Italia non solo a ricorsi costituzionali interni, ma anche a possibili procedure di infrazione a livello europeo. Resta, quindi, da vedere se questa proposta troverà effettivamente spazio nella legge di Bilancio o se rimarrà solo un annuncio destinato a non concretizzarsi.
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