Pubblicato il: 21/11/2025
L'idea al vaglio della Ragioneria di Stato è quella di offrire ai cittadini una procedura di "rivalutazione fiscale" dell'oro. In sostanza, chi possiede oro da investimento (come lingotti, placchette o monete), ma senza documentazione comprovante il relativo costo o il valore d'acquisto, potrà regolarizzarlo versando un'imposta agevolata del 12,5%, al posto dell'attuale aliquota del 26%. In particolare, la rivalutazione fiscale:
- sarebbe tecnicamente possibile solo tramite una certificazione rilasciata da operatori professionali iscritti all'apposito registro, per garantirne autenticità e valore;
- avrebbe modalità pratiche definite dall'Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dall'entrata in vigore della norma.
Ma, a questo punto, la domanda sorge spontanea: qual è il concreto vantaggio per chi aderisce? Ebbene, come sopra accennato, oggi chi vende oro senza documentazione paga il 26% sull'intero valore al momento della vendita, anche se l'oro è stato acquistato decenni prima, magari come bene rifugio o per motivi affettivi. Con la nuova proposta – invece – pagando immediatamente il 12,5% sul valore attuale del bene, il contribuente avrebbe i seguenti due benefici:
- "rivalutare" il valore dell'oro, fissandolo con una certificazione ufficiale;
- versare in futuro l'imposta del 26% esclusivamente sulla plusvalenza, cioè sulla differenza tra il valore dichiarato e il prezzo effettivo di vendita.
Ebbene, di questa sorta di tesoro invisibile, si stima che tra il 25% e il 30% sia "oro da investimento", la categoria più interessata dalla misura. Parliamo perciò di circa 1.200-1.500 tonnellate, corrispondenti a un valore che potrebbe superare anche i 160 miliardi di euro. Alla domanda su quanto potrebbe incassare lo Stato, si può perciò rispondere che – se anche solo una piccola percentuale dell'oro da investimento (ad es. il 10%) emergesse da questo nuovo meccanismo fiscale – le casse pubbliche potrebbero ottenere fino a due miliardi di euro di coperture, per finanziare interventi in manovra o riforme strutturali. Tuttavia, è in gioco anche la variabile adesione, perché non è scontato che solo una piccola parte dei proprietari decida di optare per la tassa sull'oro, soprattutto in assenza di interesse immediato a vendere.
La misura avrebbe inoltre benefici collaterali, perché permetterebbe di regolarizzare beni altrimenti non dichiarati o difficili da valorizzare, favorendo una maggiore trasparenza patrimoniale. Al contempo, non meno rilevante è la valorizzazione del patrimonio privato, perché molti possessori di oro potrebbero finalmente avvalersi di una certificazione ufficiale sul valore dei loro beni, molto utile per eventuali eredità o compravendite.
Concludendo, la "tassa sull'oro" – in sé – non va vista come una nuova imposta in senso stretto, ma come un'opzione volontaria di regolarizzazione patrimoniale, pensata per far emergere una ricchezza oggi in gran parte non ufficialmente emersa. Un'idea che divide e che sarà oggetto di confronti politici nelle prossime settimane, ma che potrebbe offrire una soluzione temporanea e mirata al sempre attuale problema delle coperture di bilancio.
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