Pubblicato il: 24/11/2025
Il caso riguarda le spese sostenute da un’azienda per l’organizzazione di un un evento annuale, molto noto nel settore vitivinicolo veneto. L’Agenzia delle Entrate aveva recuperato l’IVA contestando che tali costi non fossero pubblicitari, ma meri oneri di rappresentanza.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25144 del 13 settembre 2025, ha fatto chiarezza sul tema dei costi sostenuti per organizzare manifestazioni, convegni o premi e sulla possibilità di farli rientrare nelle spese di rappresentanza e non in quelle pubblicitarie, con la conseguenza che l’IVA non è detraibile.
Prima di analizzare la decisione della Suprema Corte, bisogna partire dalla natura delle spese di rappresentanza.
Sebbene in apparenza possano sembrare simili alla pubblicità, visto che servono comunque a promuovere l’azienda, in concreto le finalità sono molto diverse.
Le spese di rappresentanza sono quei costi sostenuti per rafforzare il prestigio dell’impresa, curare le relazioni istituzionali, presentarsi al mercato con un’immagine credibile e accattivante. Possono contribuire, anche in modo rilevante, allo sviluppo del business, ma lo fanno senza generare un ritorno immediato e, soprattutto, senza che il destinatario fornisca una controprestazione.
Non è un caso che la normativa italiana pretenda alcuni requisiti precisi, come la gratuità dell’iniziativa, l’inerenza all’attività svolta e la congruità rispetto agli obiettivi dell’impresa. Ciò significa che cene, omaggi, ospitalità, eventi, viaggi o iniziative dedicate ai clienti non possono essere spacciati come prodotti o servizi venduti al mercato, in quanto attività senza corrispettivo e – proprio per questo – incluse tra le spese di rappresentanza.
Sul piano fiscale, la differenza è rilevante. Le spese di rappresentanza, infatti, pur essendo deducibili entro certi limiti (percentuali sui ricavi per le imprese e un tetto del 75% entro il 2% dei compensi per i professionisti), non consentono la detrazione dell’IVA. Lo dice chiaramente l’art. 19 bis del T.U. IVA. L’unica eccezione fa salvi gli omaggi sotto i 50 euro, in genere integralmente deducibili, ma l’IVA resta comunque indetraibile.
La controversia nasce da due avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate, a seguito di un processo verbale di constatazione del 2018, recupera IVA per circa 90.000 euro complessivi, riferiti agli anni 2015 e 2016. I costi contestati riguardavano le spese per l’organizzazione del “34° e 35° Premio”, una cerimonia annuale con ospiti di rilievo, stampa, televisioni, autorità pubbliche, fornitori e clienti.
La società aveva classificato i vari costi come spese di pubblicità, ritenendoli finalizzati alla promozione dei propri prodotti e della propria attività. L’AdE, invece, li considerava spese di rappresentanza, quindi con IVA indetraibile.
Sia la CTP di Verona che la CTR del Veneto avevano dato ragione alla contribuente, sostenendo che l’evento presentasse una “forte caratterizzazione commerciale”, idonea ad assimilarlo alle attività pubblicitarie.
L’Agenzia ricorreva in Cassazione, deducendo violazione delle norme fiscali applicabili e richiamando la giurisprudenza consolidata in tema di distinzione tra pubblicità e rappresentanza.
La Corte ribadisce, in modo chiaro, che il discrimine essenziale tra le due categorie non risiede né nel mezzo utilizzato né nella forma dell’evento, bensì nell’obiettivo immediatamente perseguito. In particolare, si tratta di pubblicità in presenza di una finalità diretta e specifica di promuovere prodotti o servizi, informando il pubblico e sollecitando l’acquisto. Sussiste invece rappresentanza quando la finalità è accrescere prestigio, immagine e notorietà dell’impresa in senso generale, con eventuali effetti sulle vendite solo indiretti o mediati.
Questa linea interpretativa, afferma la Corte, è coerente sia con la normativa interna sia con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), secondo cui il concetto di pubblicità implica sempre la diffusione di un messaggio diretto a stimolare le vendite.
La Cassazione precisa che la gratuità della prestazione non è un criterio decisivo, ma costituisce un indice rilevante, coerente con la nozione di spese di rappresentanza, che generalmente riguardano erogazioni gratuite di beni o servizi.
Il D.M. 19 novembre 2008 conferma questo approccio, indicando che tali spese devono avere finalità promozionali o di pubbliche relazioni non direttamente collegate alla vendita di prodotti specifici.
La Cassazione ha, quindi, censurato la decisione della CTR per due ragioni principali.
In primo luogo, la CTR si era limitata ad affermare che l’evento aveva una “forte caratterizzazione commerciale”, ma ciò non è sufficiente a qualificare la spesa come pubblicità. Manca, infatti, qualunque accertamento sulla reale finalità dell’evento. Secondo la Corte, nessun collegamento specifico è stato individuato tra lo stesso e la promozione di determinati prodotti.
Ancora, la circostanza per cui il premio porta nel nome il marchio dell’impresa e viene consegnata una botte di Amarone non significa che l’iniziativa sia diretta alla “reclamizzazione” dei prodotti. L’evento appare finalizzato più a rafforzare il prestigio della cantina come istituzione culturale del territorio che a promuovere specifiche linee commerciali.
Pertanto, la Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassato la sentenza della CTR e rinviato alla CTR del Veneto in diversa composizione per un nuovo esame dei fatti.
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