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Agenzia delle Entrate, attenzione alle cartelle esattoriali prescritte, potresti doverle pagare comunque: nuova sentenza

Pubblicato il: 30/07/2025

Come è noto, le cartelle esattoriali sono atti formali che l'Agenzia delle Entrate – Riscossione invia ai contribuenti che hanno un debito nei confronti degli enti impositori, al fine di recuperare nel più breve tempo possibile quanto dovuto. Il documento contiene informazioni molto importanti come la descrizione delle somme spettanti al creditore, le informazioni sulle modalità di pagamento e le istruzioni per richiedere la rateizzazione o la sospensione, nonché per fare ricorso.

C'è poi l'intimazione di pagamento, ossia un atto successivo, emesso quando il debito contenuto nella cartella non sia stato pagato dal contribuente nei termini, e l'ente di riscossione intenda procedere con gli strumenti dell'esecuzione forzata. In sostanza, esso è l'atto che il Fisco invia se è passato più di un anno dalla notifica della cartella (talvolta anche dopo molto tempo), prima di avviare un pignoramento. Può definirsi un avviso perentorio, che sollecita l'interessato a pagare entro cinque giorni e che, come la cartella esattoriale, può essere impugnato presso il giudice competente.

Ebbene, in materia, una recentissima sentenza della Corte di Cassazione modifica le regole per i debiti fiscali, andando sostanzialmente incontro alle aspettative e agli obiettivi delle Entrate e punendo il contribuente inerte. In sostanza, i giudici di piazza Cavour hanno spiegato che l'intimazione di pagamento è – in realtà – qualcosa di più di un semplice "sollecito": essa va impugnata immediatamente innanzi alla magistratura, anche qualora il collegato debito sia caduto in prescrizione (ossia sia diventato troppo "vecchio" per essere legalmente preteso dal creditore).

Altrimenti, sottolinea la magistratura di legittimità, la conseguenza è che il debito va a "cristallizzarsi", diviene definitivo e può nuovamente essere opposto al contribuente, che non potrà più trovare un appiglio nella pur intervenuta prescrizione. In altre parole, basta una piccola svista o un ritardo del contribuente, per perdere ogni possibilità di difesa. Se non si fa ricorso nei termini previsti, la prescrizione non conta più e il debito resta comunque esigibile dall'Agenzia delle Entrate-Riscossione. Una sorta di sanatoria per mancata iniziativa del contribuente.

Il caso concreto è frequente, merita attenzione e può riguardare tutti i contribuenti che, diversi anni fa, abbiano ricevuto la notifica di una cartella esattoriale, oggi ormai caduta in prescrizione. Superando quell'orientamento giurisprudenziale che qualificava l'intimazione di pagamento atto impugnabile in modo opzionale, la Cassazione ha così affermato che il sottostante debito, di fatto, ritorna "a galla" qualora la stessa intimazione, pur notificata e giunta anche molto tempo dopo la citata cartella (per colpa di un non perfetto funzionamento della macchina esattiva del Fisco), non sia impugnata nei termini previsti dalla legge (tipicamente 60 giorni).

Ecco perché la sentenza n. 20476/2025 della Corte, oltre a conferire certezza al diritto e porre la parola fine a vari precedenti giurisprudenziali di opposta indicazione, rappresenta una sorta di "terremoto" nei rapporti tra Fisco e contribuenti. In passato, infatti, questi ultimi potevano non contestare l'intimazione e – restando passivi – potevano poi sostenere l'intervenuta prescrizione in una fase posteriore, ad esempio opponendosi al pignoramento. Ricordiamo, infatti, che l'intimazione di pagamento precede gli atti esecutivi veri e propri.

Ora, con la nuova decisione della Cassazione, i contribuenti non possono più limitarsi a non agire legalmente, sperando che l'intervenuta prescrizione faccia venire meno il debito fiscale. L'intimazione di pagamento va comunque impugnata senza indugio, perché – altrimenti – il debito diventa definitivo e inattaccabile, sanando ogni vizio anteriore: non solo – quindi – la prescrizione, ma anche ad esempio la notifica della cartella esattoriale a un indirizzo errato, oppure la sua mancata notifica.


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