Pubblicato il: 29/07/2025
Nell'appena citato Rapporto, l'Upb ha effettivamente evidenziato un problema che caratterizza strutturalmente l'imposizione fiscale in Italia e rischia di vanificare l'efficacia degli adeguamenti salariali. In presenza di aumenti nominali degli stipendi, i lavoratori finiscono comunque per pagare più tasse perché, crescendo il reddito, si può finire in scaglioni Irpef più alti, mentre le detrazioni fiscali non sono indicizzate all'inflazione e – quindi – non sono automaticamente adeguate all'aumento del costo della vita; restano fisse a meno che non intervenga una specifica modifica normativa.
Il drenaggio fiscale, ricorda l'Ufficio, è una conseguenza diretta della progressività del sistema tributario – in particolare dell'Irpef – ed è più forte in una situazione di elevata inflazione. In questo sistema, l'imposta aumenta all'aumentare del reddito non in modo proporzionale, ma con aliquote crescenti per scaglioni. Questo significa che, se il reddito del contribuente-lavoratore si eleva (anche solo per effetto dell'inflazione), questi pagherà una percentuale di tasse più alta su quella parte di reddito aggiuntivo. Pur con l'aumento contrattuale, il contribuente-lavoratore si ritroverà con un incremento lordo in parte assorbito dal Fisco, e con il netto che cresce poco o nulla.
Il sintesi, il punto chiave è che l'aumento nominale dello stipendio non corrisponde a un vero aumento del potere d'acquisto, e il Fisco lo tassa come se fosse un miglioramento reale del tenore di vita. Ciò genera il meccanismo del drenaggio fiscale, considerato anche che non esistono meccanismi automatici di adeguamento degli scaglioni Irpef all'inflazione.
Teoricamente, la progressività dell'Irpef serve a garantire equità, ma – se non è accompagnata da una corretta indicizzazione all'inflazione – può penalizzare proprio i redditi medio-bassi, che ricevono aumenti contrattuali per adeguarli al carovita. La non indicizzazione all'inflazione, infatti, porta alla perdita del valore reale degli stipendi, con i lavoratori che rischiano di vedere crescere le imposte, anche in assenza di reali miglioramenti del tenore di vita.
Ricapitolando, sale lo stipendio lordo ma non quello netto: questo è l'effetto degli aumenti in busta paga, combinato all'aumento della tassazione complessiva del reddito incassato. Ma non solo: sull'Irpef si applicano le detrazioni per lavoro subordinato, ma anche il TIR (Trattamento integrativo) e il bonus per il taglio al cuneo fiscale, decrescenti all'aumentare del reddito. Conseguentemente, il taglio dei benefici può davvero essere molto marcato, pur con una busta paga più consistente.
Ecco perché, se gli aumenti contrattuali sono in gran parte erosi dall'incremento del prelievo fiscale, l'Upb ha suggerito che è necessario correggere le politiche contrattuali e fiscali, apponendo una periodica e più tempestiva revisione delle aliquote Irpef, delle detrazioni e dell'indicizzazione dei parametri fiscali, per tutelare davvero i redditi da lavoro. Al contempo, anche l'introduzione di appositi crediti d’imposta compensativi potrebbe contrastare gli effetti del drenaggio.
Vai alla Fonte [mc4wp_form id="5878"]