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Bollette telefoniche, addio al recesso gratuito, in arrivo le tariffe che si adeguano all’inflazione: ecco cosa puoi fare

Pubblicato il: 02/11/2025

La proposta contenuta nel Ddl Concorrenza consentirà agli operatori telefonici di aggiornare le tariffe in modo automatico seguendo l'andamento dell'inflazione, misurata attraverso l'indice dei prezzi al consumo. In termini pratici, questo significa che, se il costo della vita aumenta, anche la bolletta del telefono crescerà nella stessa proporzione, senza che l'azienda debba chiedere alcuna autorizzazione o giustificare l'incremento. L'adeguamento avverrebbe su base annuale, trasformandosi in una clausola contrattuale permanente e ineludibile.
Fino a questo momento, il sistema funzionava in modo completamente diverso. Ogni volta che un operatore decideva di modificare le condizioni economiche di un contratto, era obbligato a comunicarlo in modo chiaro e trasparente, dando all'utente la possibilità di recedere gratuitamente senza penali o costi aggiuntivi. Questo meccanismo rappresentava una tutela fondamentale, perché permetteva ai consumatori di valutare se l'aumento fosse accettabile o se fosse più conveniente passare a un altro gestore. Con la nuova normativa, invece, l'adeguamento all'inflazione non sarà più considerato una modifica unilaterale del contratto, ma una sua componente naturale e prevedibile. Di conseguenza, il diritto alla disdetta gratuita verrebbe, di fatto, cancellato per tutti quegli aumenti legati all'inflazione. L'unica eccezione riguarderà i contratti già attivi al momento dell'entrata in vigore della legge, e solo se non hanno subito modifiche nei dodici mesi precedenti. Per tutti gli altri casi, l'aumento scatterà automaticamente, senza vie di fuga.
Dal diritto di scelta alla rassegnazione: come cambiano le tutele per i consumatori
L'intervento proposto nel Ddl Concorrenza rappresenta uno stravolgimento radicale rispetto alle regole attualmente in vigore, costruite negli anni dall'Agcom, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, proprio per proteggere gli utenti dagli abusi delle compagnie telefoniche. Le norme attuali stabiliscono con chiarezza che un aumento delle tariffe può avvenire solo dopo almeno dodici mesi dalla firma del contratto, deve essere comunicato con congruo anticipo e in modo comprensibile, e deve rispettare il principio della simmetria: se l'inflazione scende, anche le tariffe devono diminuire proporzionalmente. Inoltre, di fronte a qualsiasi variazione economica, l'utente mantiene il sacrosanto diritto di recedere gratuitamente, cambiando operatore senza pagare penali o costi di disattivazione.
Con l'emendamento in discussione, la maggior parte di queste garanzie verrebbe spazzata via. Il principio alla base della riforma è la cosiddetta "normalizzazione" degli aumenti tariffari legati all'inflazione, che verrebbero integrati nel contratto come elemento strutturale e non più come eccezione da giustificare. L'aspetto più preoccupante, tuttavia, riguarda l'automatismo del meccanismo: non ci sarà più bisogno di una decisione consapevole da parte dell'operatore, né di una notifica esplicita all'utente. L'aumento diventerà una formula contrattuale silenziosa, che opera da sola seguendo l'andamento dei prezzi.
Il rischio concreto è che i consumatori si ritrovino a pagare bollette sempre più salate senza nemmeno rendersene conto pienamente, perdendo quel controllo sui propri costi che – fino a oggi – era garantito dalla possibilità di confrontare le offerte e cambiare operatore liberamente. In sostanza, si passa da un sistema basato sulla trasparenza e sulla libertà di scelta a uno fondato sull'accettazione passiva degli aumenti, con un evidente squilibrio a favore delle compagnie e a danno degli utenti.
Un ritorno al passato: il fantasma del mese da 28 giorni
Molti esperti del settore e associazioni di consumatori hanno subito sollevato il parallelo con una pratica che fece scandalo qualche anno fa: il mese da 28 giorni. All'epoca, alcune compagnie telefoniche avevano deciso di accorciare artificiosamente la durata della fatturazione mensile, portandola da 30 a 28 giorni. Il risultato fu che gli utenti si trovarono a pagare tredici bollette anziché dodici nell'arco di un anno, con un aumento nascosto dei costi complessivi che non veniva esplicitato nelle comunicazioni commerciali. Quella pratica scatenò proteste, ricorsi e l'intervento dell'Agcom, che impose il ritorno alla fatturazione mensile standard e sanzionò gli operatori coinvolti.
Oggi, con la clausola di indicizzazione automatica delle tariffe all'inflazione, il timore è che si stia tornando verso un modello simile, seppure con modalità diverse. Sebbene l'adeguamento al costo della vita possa apparire, sulla carta, come una misura oggettiva e neutrale, la sostanza cambia radicalmente se questo meccanismo diventa automatico e sottratto al controllo dell'utente. Di fatto, si torna a un sistema contrattuale meno trasparente, in cui le variazioni economiche vengono subite, anziché accettate consapevolmente.
Le conquiste degli ultimi anni in termini di tutela dei consumatori, ottenute grazie agli interventi dell'Agcom e alle azioni collettive delle associazioni, rischiano di essere vanificate. L'utente si ritroverebbe nuovamente in una posizione di debolezza, costretto ad accettare aumenti che, pur essendo collegati all'inflazione, non prevedono alcuna possibilità di rinegoziazione o di cambio di fornitore senza penali. In questo scenario, il potere contrattuale tornerebbe quasi esclusivamente nelle mani delle aziende, con una netta perdita di quella trasparenza che era stata faticosamente conquistata negli anni precedenti.
Telemarketing senza freni: quando i dati di portabilità diventano merce di scambio
Ma il Ddl Concorrenza non si limita alle tariffe. Un'altra modifica significativa riguarda il telemarketing, con un pacchetto di emendamenti che ha trovato sostegno trasversale in diverse forze politiche. L'obiettivo è permettere l'utilizzo dei dati di portabilità dei numeri telefonici per finalità commerciali, previa acquisizione del consenso dell'interessato. Attualmente, la legge stabilisce che il database della portabilità, cioè l'elenco che registra il passaggio degli utenti da un operatore all'altro, può essere consultato solo per scopi tecnici, indispensabili per garantire la corretta migrazione delle linee telefoniche. Si tratta di informazioni sensibili, che rivelano le scelte commerciali degli utenti e che, per questo motivo, sono sempre state protette da un divieto di utilizzo a fini promozionali.
Con le nuove disposizioni, invece, gli operatori telefonici avrebbero accesso a questi dati per contattare gli utenti che hanno appena cambiato gestore, proponendo offerte mirate e personalizzate. In pratica, se si decide di passare da una compagnia all'altra, l'ex operatore o un concorrente potrebbero chiamare immediatamente, utilizzando proprio le informazioni sulla portabilità per proporre piani alternativi. Questo aprirebbe le porte a un telemarketing molto più aggressivo e insistente, con una raffica di chiamate promozionali che, negli ultimi anni, erano state contenute grazie all'introduzione del Registro delle opposizioni e ai controlli del Garante per la protezione dei dati personali.
Il risultato sarebbe un ritorno a pratiche commerciali invasive, con gli utenti nuovamente bombardati da proposte indesiderate proprio nel momento in cui hanno scelto di cambiare operatore. Anche in questo caso, il bilanciamento tra interessi delle aziende e diritti dei consumatori appare fortemente sbilanciato a favore delle prime, alimentando preoccupazioni non solo sul fronte della privacy, ma anche sulla qualità dell'esperienza degli utenti nel mercato delle telecomunicazioni.


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