Pubblicato il: 13/05/2025
Innanzitutto si ricorda che l’atto di verbalizzazione ha una funzione di certificazione pubblica: esso, infatti, contiene e rappresenta i fatti e gli atti giuridicamente rilevanti – redatti da un pubblico ufficiale – che è necessario siano conservati per le esigenze probatorie (Cass., Sez. I, 3 dicembre 2002, n. 17106).
L’art. 9, rubricato "Commissioni esaminatrici" del D.P.R. n. 487 del 1994, al comma uno, individua i commissari come «tecnici esperti nelle materie oggetto del concorso, scelti tra dipendenti di ruolo delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime», avendo cura di garantire:
- il principio della parità di genere;
- l’individuazione preferenziale di personale di qualifica pari o superiore a quella cui il concorso è riferito;
- la scelta anche tra il personale in quiescenza che abbia posseduto, durante il servizio attivo, la qualifica richiesta per i concorsi;
- la nomina in via definitiva dei supplenti, tanto per il presidente quanto per i singoli componenti la commissione;
- l'aggiunta di membri aggregati per gli esami di lingua straniera e per le materie relative a specializzazioni non rinvenibili nelle amministrazioni, oltre (una facoltà) agli specialisti in psicologia e risorse umane.
In tema di trasparenza amministrativa nei procedimenti concorsuali, l'art. 12 del D.P.R. n. 487 del 1994 stabilisce che le Commissioni esaminatrici, alla prima riunione, devono stabilire i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali, formalizzandoli nei relativi verbali; inoltre, i quesiti delle prove orali devono essere determinati immediatamente prima dell'inizio di ciascuna prova e proposti ai candidati tramite estrazione a sorte.
In tema di valutazioni relative a concorsi pubblici, le modalità di formazione del voto hanno un mero rilievo interno e l'unico dato che assume rilievo esterno è il voto finale, quale sintesi di tutto l'iter compiuto e della valutazione effettuata, mentre, ai fini della validità degli atti posti in essere dalla Commissione giudicatrice in merito all'assegnazione dei voti, è sufficiente la verbalizzazione del punteggio complessivo attribuito al singolo candidato, attestante l'intero procedimento di valutazione. Gli apprezzamenti dei commissari sono, quindi, destinati ad essere assorbiti nella decisione collegiale finale, costituente momento di sintesi della comparazione e composizione dei giudizi individuali.
Ai fini della verifica di legittimità dei verbali di correzione e dei conseguenti giudizi non occorre l'apposizione di glosse, segni grafici o indicazioni di qualsivoglia tipo sugli elaborati, in relazione a eventuali errori commessi. Solo se mancano criteri di massima e precisi parametri di riferimento, cui raccordare il punteggio assegnato, si può ritenere illegittima la valutazione dei titoli in forma numerica.
Si ricorda inoltre che, in presenza di quesiti a risposta multipla, risulta imprescindibile che l’opzione, da considerarsi valida per ciascun quesito, debba essere l’unica effettivamente e incontrovertibilmente corretta sul piano scientifico, costituendo tale elemento un preciso obbligo dell’Amministrazione. Cosa significa? Significa che, laddove la prova scritta sia articolata su risposte multiple, la formulazione del quesito deve contemplare la presenza di una sola risposta “oggettivamente” esatta, rimanendo preclusa ogni possibilità di interpretazione soggettiva da parte della Commissione. Ne consegue che dovrà ritenersi legittima esclusivamente la prova condotta alla stregua di un quiz a risposta multipla che conduca ad una risposta univoca ovvero che contempli, tra le risposte da scegliere, quella indubitabilmente esatta.
I quesiti che prevedono più risposte esatte o nessuna risposta esatta sono da considerare illegittimi e, dunque, da annullare in autotutela (correggendo la risposta e riformulando la graduatoria sulla base del punteggio conseguentemente attribuibile), in modo tale da neutralizzare l’incidenza negativa svolta dal quesito errato sulla valutazione complessiva dei candidati
Sussiste conflitto di interessi in capo a un componente di una commissione esaminatrice di un concorso pubblico laddove concorrano, quali candidati, soggetti con i quali l’interessato ha o ha avuto stretti rapporti di natura lavorativa?
Sul punto il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2408/2023, ha puntualizzato che, sebbene debba riaffermarsi il principio giurisprudenziale per cui la semplice sussistenza di rapporti accademici o di ufficio tra commissario e candidato non è idonea ad integrare gli estremi delle cause d’incompatibilità normativamente previste, deve parimenti evidenziarsi la necessità di tenere conto dei caratteri specifici della collaborazione, al fine di valutarne l’intensità e la protrazione nel tempo e, dunque, l’idoneità a determinare “per il componente della commissione un effetto di incompatibilità a partecipare alla valutazione comparativa di candidati che, con il condizionamento del rapporto preesistente, difficilmente potrebbe restare pienamente imparziale” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 luglio 2020, n. 4356); la comunanza di interessi (altresì) di vita professionale potrebbe, infatti, connotarsi per un’intensità “tale da far sorgere il sospetto che la valutazione del candidato non sia oggettiva ma motivata dalla conoscenza personale” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5865).
La verifica in ordine alla sussistenza di situazioni di conflitto di interesse deve essere svolta, in concreto, con il dovuto rigore, dovendosi anche precisare che ad assumere rilievo sono non solo i conflitti di interessi conclamati, ma anche quelli potenziali, integrati dalla sussistenza di gravi ragioni di convenienza, percepite come una minaccia alla imparzialità e indipendenza dei componenti dell’organo collegiale nel contesto della procedura concorsuale.
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