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Condominio, come difenderti legalmente dalle piante del vicino che invadono i tuoi spazi: ecco tutto ciò che devi fare

Pubblicato il: 02/06/2025

Dai piccoli centri abitati alle grandi città, in condominio gli amanti del giardinaggio sono assai frequenti. E se è vero che questo hobby rilassa, riduce lo stress e migliora l'umore, è altrettanto vero che – talvolta – la passione per le piante è alla base di controversie di vicinato aventi ad oggetto rami che invadono la proprietà altrui, una vegetazione troppo cresciuta e non sufficientemente curata dal proprietario, vasi posizionati in modo inappropriato sui balconi oppure – ancora – infiltrazioni causate da annaffiature eccessive.

In questi casi, ciò che dovrebbe essere un'attività piacevole e costruttiva si trasforma in una fonte di tensione condominiale. Si pensi ad es. ai casi in cui, a causa della massiccia presenza di fronde non potate, non è più possibile aprire completamente una finestra oppure a quelle situazioni in cui si determina una fastidiosa ostruzione della luce o un pericolo per la sicurezza. È per questo che, accanto al rispetto delle regole basilari di convivenza, è fondamentale conoscere anche i limiti imposti dalla legge in materia di giardinaggio in ambito condominiale. Cerchiamo di capire allora cosa fare quando le piante invadono la proprietà altrui, raggiugendo balconi, finestre, terrazzi o giardini delle unità immobiliari vicine.

Il primo passo da compiere è contattare in modo amichevole il proprietario delle piante, spiegandogli la natura del problema e suggerendogli di prestare maggior attenzione alla cura del verde all'interno del caseggiato. Se non dovesse bastare questa iniziativa, il passo successivo è di ambito legale. Le norme vigenti infatti suggeriscono l'invio di una lettera di diffida, per raccomandata con ricevuta di ritorno e possibilmente redatta da un avvocato esperto di questioni condominiali. Lo strumento sarà particolarmente utile perché formalizzerà la richiesta di rimozione o potatura, facendo presente che si tratta di una violazione dei diritti altrui (come il diritto alla veduta o alla proprietà) e indicando un termine massimo per l'eliminazione dei rami molesti, ad es. venti giorni.

In particolare, con la lettera di diffida, il legale formulerà correttamente i riferimenti normativi in materia, tra cui l'art. 844 del c.c. sulle immissioni e l'art. 892 del c.c. sulle distanze legali delle piante, e chiarirà le conseguenze di un eventuale inadempimento. Inoltre, nel documento non dovrà mancare la menzione dell'art. 896 del c.c., in tema di gestione e recisione dei rami e delle radici sporgenti. Quest'ultima disposizione del Codice Civile è particolarmente utile in caso di proprietà privata invasa da piante altrui in condominio, perché espressamente indica che il proprietario di un fondo, o di un'unità immobiliare, può imporre al vicino di potare (o di far potare da un giardiniere) i rami delle piante che varcano il confine. Non solo. Può egli stesso tagliare le radici che si addentrano nel suo fondo. Ricordiamo altresì che tali regole si applicano a patto che gli usi o i regolamenti locali (ad es. quelli comunali) non dispongano diversamente.

Attenzione però: salva espressa autorizzazione del proprietario o del magistrato, la legge invece vieta di procedere di propria iniziativa all'eliminazione della vegetazione in eccesso e dei rami della pianta del vicino, che entrano nei propri spazi privati. Tale differente trattamento dei rami rispetto alle radici è stato voluto dal legislatore, nella consapevolezza del pregiudizio che può recare alla pianta il taglio dei rami fatto non a regola d'arte, sia soprattutto perché non sarebbe sempre facile provare la volontarietà del taglio delle radici, che di solito avviene automaticamente con la stessa lavorazione del terreno.

Qualora la lettera di diffida non sortisca gli effetti sperati (neanche con sollecito da parte dell'amministratore di condominio), il proprietario leso nel suo diritto dovrà valutare l'azione in tribunale. Attraverso una causa civile, il giudice potrebbe imporre la potatura e concedere l'eventuale risarcimento ai sensi dell'art. 2043 del c.c.. Da parte sua il proprietario della pianta potrebbe – quindi – essere chiamato a rispondere dei danni patiti da chi ha subito le conseguenze dell'incuria altrui, ma tali danni andranno provati in tribunale oppure potranno essere stabiliti in via equitativa dal giudice. Qualora il proprietario non adempia spontaneamente, tagliando le fronde protese, il giudice potrà autorizzare che tale operazione sia effettuata dal ricorrente a spese della parte inadempiente. E, sempre sul piano delle conseguenze legali, oltre a essere un illecito civile con obbligo di pagare i danni, il taglio non autorizzato dei rami della pianta del vicino potenzialmente integra gli estremi del reato di cui all'art. 635 del c.p..

Infine, queste norme si applicano in caso di vegetazione posta a distanza di legge. Altrimenti se l'albero è piantato troppo vicino al fondo confinante, le norme vigenti – e in particolare l'art. 894 del c.c. – danno diritto alla parte lesa di chiedere e ottenere l'estirpazione dell'albero stesso, con costi a carico del titolare del fondo in cui si trova la pianta.


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