Pubblicato il: 13/08/2025
Un complesso condominiale, in persona del suo amministratore pro tempore, agiva in giudizio contro i comproprietari di un immobile, per ottenere il pagamento della somma necessaria all’eliminazione dei danni riportati dal viale di accesso ai box.
I danni consistevano nel sollevamento dei cubetti in porfido da cui era costituito il viale, sollevamento a sua volta cagionato dalla propagazione delle radici di un cedro, piantato dai convenuti nel giardino di loro proprietà.
Il sollevamento del viale era stato accertato nel corso di consulenza tecnica d’ufficio, espletata nell’ambito di procedura di A.T.P.
Le istanze di parte attrice hanno trovato accoglimento da parte del Tribunale lombardo.
In particolare, nel caso sottoposto al suo esame, il giudice ha ritenuto di attribuire ai convenuti la responsabilità per i danni lamentati dall’attore.
Più precisamente, i proprietari del giardino, dopo aver piantato il cedro oggetto di discordia (la piantumazione era avvenuta successivamente alla costruzione del condominio), non avrebbero posto in essere gli accorgimenti necessari per far sì che le radici dell’albero, nel corso del tempo, non si propagassero all’interno delle proprietà finitime.
Anche rispetto al quantum il Tribunale ha accolto la domanda di parte attrice, secondo cui il risarcimento andava determinato con riferimento ai costi delle opere ritenute più idonee per la relativa eliminazione e il ripristino dello stato dei luoghi.
Possiamo sinteticamente aggiungere che fondamento di una responsabilità quale quella oggetto della pronuncia in esame è certamente l’art. 2051 del c.c., ai sensi del quale ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.
Secondo la giurisprudenza più recente, “la responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, rappresentato da un fatto naturale o del danneggiato o di un terzo, connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, dal punto di vista oggettivo e della regolarità o adeguatezza causale, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode. In tale contesto, al cospetto dell'art. 2051 c.c. la condotta del danneggiato può rilevare unicamente nella misura in cui valga ad integrare il caso fortuito, ossia presenti caratteri tali da sovrapporsi al modo di essere della cosa e da porsi essa stessa all'origine del danno” (Cass. civ., Sez. III, 09/02/2023, n. 4051).
E, ancora, “in materia di responsabilità ex art. 2051 cod. civ., a carico del soggetto danneggiato sussiste l'onere di provare soltanto la derivazione del danno dalla cosa e la custodia della stessa da parte del preteso responsabile, non pure la propria assenza di colpa nel relazionarsi con essa. Nel caso di responsabilità per cose in custodia ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., spetta al custode fornire la prova liberatoria della sussistenza del "caso fortuito", quale fatto o atto (del danneggiato o del terzo) che si pone in relazione causale con l'evento dannoso, caratterizzandosi come causa esclusiva dello stesso evento” (Cass. civ., Sez. III, Ordinanza, 08/07/2024, n. 18528).
Nel caso oggetto della sentenza del Tribunale di Como, i convenuti non avevano fornito alcuna prova liberatoria concernente un eventuale caso fortuito, ma si erano limitati ad asserire – senza però minimamente dimostrare – un presunto fatto colposo di parte attrice, che (a loro dire, smentito però dal giudicante) avrebbe contribuito alla causazione dell’evento dannoso.
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