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Condominio, fumare in balcone non sempre è un tuo diritto, ecco quando i vicini possono vietarlo e come: tutti i casi

Pubblicato il: 26/05/2025

Fumare sul proprio balcone è un'abitudine quotidiana per molti, ma può diventare fonte di tensioni nei contesti condominiali. Cosa accade quando il fumo di sigaretta invade i balconi vicini o penetra all'interno degli appartamenti, arrecando disagio o problemi di salute ai vicini? È legittimo che il condominio vieti di fumare in balcone? E quali strumenti di tutela ha chi subisce le immissioni derivanti dal fumo altrui?

Fumare sul balcone della propria abitazione, in linea di principio, è lecito, in quanto rientra nel libero esercizio del diritto di proprietà. Tuttavia, questo diritto non è illimitato: esso incontra il limite del pari diritto degli altri condomini a godere della propria abitazione in modo salubre e tranquillo. Inoltre, l’ordinamento giuridico tutela il diritto di proprietà, purché esso non collida con il divieto di atti emulativi ex art. 833 del c.c. e di immissioni nel fondo altrui.

In ambito giuridico si parla, infatti, di “immissioni”, le quali comprendono rumori, vibrazioni, odori e, dunque, anche il fumo di sigaretta. Tali immissioni sono regolate dall’art. 844 del c.c., che vieta le propagazioni provenienti dal fondo altrui quando superano la normale tollerabilità.

Il concetto di “normale tollerabilità” è volutamente vago e deve essere valutato caso per caso, avuto conto della durata, intensità, frequenza e delle caratteristiche dell’ambiente come, ad esempio, la distanza tra balconi, la presenza di bambini o persone fragili, ecc.

Il regolamento condominiale non può vietare in modo assoluto ai condomini di fumare sul proprio balcone se si tratta di un regolamento assembleare, cioè approvato a maggioranza. Questo tipo di regolamento, infatti, non può incidere sui diritti individuali di ciascun condomino su spazi di proprietà esclusiva, né comprimere il suo diritto di proprietà.
Diverso è il caso di un regolamento contrattuale o di origine convenzionale, ossia approvato all’unanimità o allegato sin dalla costruzione dell’edificio agli atti di compravendita delle singole unità immobiliari. In questo caso, è possibile inserire clausole più restrittive quali, ad esempio, divieti di disporre del proprio appartamento come si desidera, purché non ledano diritti fondamentali o non risultino eccessivamente vessatorie.

Il condomino che subisce le immissioni di fumo può, innanzitutto, tentare la via del dialogo diretto: è sempre preferibile avere un confronto civile con il vicino, spiegando il problema e cercando un compromesso, come ad esempio suggerire di fumare in un’altra zona del balcone o evitare il fumo nelle ore notturne, o dei pasti.

Qualora tale tentativo non dovesse avere buon esito, il condomino molestato potrà inviare una diffida scritta al condomino fumatore, con la quale invitarlo alla cessazione del comportamento lesivo.

L’ultima via percorribile resta l’azione legale: se il disturbo persiste, si può adire – a seconda dei casi – il Giudice di Pace o il Tribunale, per ottenere l’inibitoria all’attività molesta e un eventuale risarcimento dei danni morali o alla salute. Il giudice valuterà caso per caso se ci sono motivi per cui il fumo di sigaretta vada oltre i limiti della normale tollerabilità.

L’onere della prova sull’intollerabilità del comportamento altrui grava sul vicino che lamenta la lesione del proprio diritto. Infatti, il principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 del c.c. stabilisce che chiunque voglia agire in giudizio, per far valere il proprio diritto, ha l’obbligo di dimostrare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Fumare in balcone è generalmente lecito, ma non è un diritto assoluto in senso egoistico.
Quando l’esercizio di tale libertà lede la salute e la quiete dei vicini, il comportamento può essere vietato o limitato.


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