Pubblicato il: 07/08/2025
Nel caso concreto che ha portato alla decisione del giudice di merito, alcuni condomini avevano fatto causa a un condominio, affermando che l'assemblea aveva approvato – a maggioranza – la nomina di un nuovo amministratore, con un compenso sproporzionato e aderente alle richieste di quest'ultimo (2.500 euro annui). Secondo gli attori, la somma appariva eccessiva sia rispetto a quanto intascato dall'amministratore uscente (600 euro annui), sia rispetto alla consistenza delle spese ordinarie sostenute dai condomini (bilanci di esercizio) e corrispondenti a 12mila euro annui.
Il tribunale di Milano accolse tali doglianze, affermando che, se è pur vero che il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere condominiali non può estendersi alla valutazione di merito e discrezionalità di cui dispone l'adunanza stessa, tale sindacato deve comunque includere il riscontro della legittimità degli atti in oggetto.
In particolare – si legge nella sentenza n. 4949 – questo riscontro, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o del regolamento condominiale, si estende anche all'eccesso di potere, che sussiste quando la causa della deliberazione "sia falsamente deviata dal suo modo di essere, trattandosi, in tal caso, di stabilire se la delibera sia o meno il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell'assemblea deliberante (Cass. n. 5889 del 2001; Cass. n. 19457 del 2005)". Ebbene, l'attore lamenta proprio tale eccesso di potere, ossia il vizio per cui l'adunanza ha deliberato il compenso dell'amministratore in misura del tutto abnorme, irragionevole e sproporzionata.
Riconoscendo le ragioni di chi ha citato in giudizio il condominio, il tribunale di Milano ha così rilevato che, in linea generale, l'impugnazione di una delibera assembleare per questo particolare vizio contesta il perseguimento – da parte della maggioranza – di interessi non aderenti a quelli del condominio e, anzi, vantaggiosi solo per alcuni dei partecipanti o di terzi. Conseguentemente, impone al magistrato di appurare se la volontà assembleare si sia formata per scopi estranei al bene e all'interesse dello stesso condominio, arrecando pregiudizio ai suoi partecipanti.
Come accennato sopra, in materia si registra un costante orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. n. 15492/2007 e Cass. 7615/2023), secondo cui qualora un condomino contesti come eccessiva, sproporzionata ed irragionevole la determinazione del compenso dell'amministratore, il giudice non può limitarsi a "giustificare" la decisione assembleare per la discrezionalità di merito spettante all'organo deliberativo. Infatti, egli deve valutare – sulla scorta degli elementi di prova o indicazioni offerti dalle parti in ordine, ad esempio, ai parametri di mercato in vigore per condominii di analoghe dimensioni – se, nel determinare la misura del compenso, la delibera abbia effettivamente perseguito l'interesse dei partecipanti del condominio, oppure sia stata squisitamente ispirata dalla volontà di recare vantaggi all'amministratore in carica.
Nel caso pratico che qui interessa, sulla scorta degli elementi addotti dall'attore – e non contestati – emerge che la delibera è stata effettivamente adottata dall'adunanza con eccesso di potere. L'atto appare, infatti, ispirato dall'intenzione di attribuire vantaggi al nuovo amministratore nominato, senza tenere in adeguato conto gli interessi del condominio. Per questi motivi, il giudice ha dichiarato la nullità dell'atto per il citato vizio.
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