Pubblicato il: 03/05/2025
Più nel dettaglio, è stato affermato che "il reiterato accesso di un animale domestico nella proprietà altrui, con produzione di deiezioni, imbrattamenti e conseguenze sulla salute del condomino attiguo integra il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale e legittima l’adozione di misure coercitive per garantire l’effettività della tutela".
Sulla scorta di quanto appena riferito, il giudice ha condannato la proprietaria di un gatto al risarcimento per i danni, quantificati forfettariamente in € 1.500,00.
Quali i fatti di causa?
Da diversi mesi, i gatti di una signora residente nella stesso stabile della ricorrente, stante l'assenza di barriere protettive e l'omessa vigilanza, avevano l'abitudine di accedere all'interno dei terrazzi della medesima ricorrente, provocando reiteratamente danni mediante il rilascio di escrementi e urina sul pavimento, sulle pareti e sulle piante ivi collocate, con conseguente danneggiamento del verde, insalubrità dell'ambiente – specie durante il periodo estivo – ed emissione di cattivo odore. La ricorrente, affetta da asma bronchiale cronica, rappresentava più volte, per le vie brevi, l'increscioso fenomeno, invitandola ad adottare iniziative atte a impedirne il ripetersi; purtuttavia, nonostante le vane rassicurazioni verbali ricevute, alcun provvedimento risolutivo veniva adottato.
Cosa dice la legge? Il gatto può circolare liberamente negli spazi comuni?
La L. 220 del 2012 ha introdotto, all’articolo 1138 del codice civile, la previsione secondo cui il regolamento condominiale non può proibire la detenzione di animali domestici nelle proprietà esclusive. Questo sta ad intendere che il condominio non può vietare di detenere un gatto in casa. Il citato articolo del codice civile si riferisce, invero, alla libertà di detenere animali di affezione, ma non fa riferimento esplicito alla libertà di circolazione in aree comuni. Ne deriva che solo un regolamento condominiale di tipo contrattuale, approvato all’unanimità dei condomini, potrebbe vietare di avere animali in casa e, quindi, anche gatti. A tal fine si richiede che il regolamento sia allegato ai singoli atti notarili di compravendita.
Anche se, nella realtà concreta, può verificarsi che animali, come cani e gatti, circolino nelle aree comuni e, pertanto – come può agevolmente desumersi dall’interpretazione della generalità delle prescrizioni condominiali che impongono il rispetto, la pulizia e la quiete – si rende necessario che siano accompagnati dai loro proprietari ai fini della sicurezza dei condomini.
Quali le conclusioni del giudice?
Nel caso rappresentato, il Giudice richiama il citato art. 2052 c.c. nel punto in cui prevede espressamente che “il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.
Dunque, del danno cagionato da animale risponde il proprietario o chi ne ha l'uso, per responsabilità oggettiva. Cosa significa? Significa che, per liberarsi dalla suddetta responsabilità, il proprietario dovrà fornire la prova dell'esistenza di un fattore, estraneo alla sfera soggettiva e idoneo ad interrompere quel nesso di causalità fra il comportamento del felino e il danno dallo stesso arrecato.
Nella fattispecie in commento è stato acclarato che la signora proprietaria dei gatti, nonostante il verificarsi di reiterati episodi, lamentati dai ricorrenti, non aveva adottato alcuna misura – neppure minima – normalmente idonea a gestire e/o controllare gli animali in questione, in modo da evitare o limitare i disagi per i ricorrenti. Nessuna prova è stata offerta al giudice circa l'adempimento, da parte della convenuta, dei relativi doveri di gestione e controllo degli animali. Diversamente, la ricorrente aveva invece dato prova, anche a mezzo di testimoni, dell'esistenza del nesso fra i comportamenti degli animali della proprietaria e gli eventi lesivi provocati dai medesimi (deterioramento del verde, deiezioni, esalazioni maleodoranti). Di qui la condanna al pagamento, in suo favore, della somma pari a €.1.500,00.
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