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Conti correnti, ecco quando scattano i controlli dell’Agenzia delle Entrate, tutti i casi: le azioni che devi evitare

Pubblicato il: 05/01/2025

In alcuni casi di trasferimenti di denaro tramite conto corrente bancario, l’Agenzia delle Entrate potrebbe richiedere dei chiarimenti alla banca. Sebbene, spesso, siano direttamente gli stessi istituti di credito a segnalare al Fisco i movimenti e i rapporti bancari, esistono situazioni specifiche in cui l’AdE effettua controlli approfonditi sui conti correnti, al fine di individuare potenziali casi di evasione fiscale.

È importante inoltre sin d’ora rammentare che, nel nostro Paese, non è previsto il segreto bancario, motivo per cui diversi soggetti hanno la possibilità di consultare informazioni sui conti correnti senza la necessità di un’autorizzazione specifica. Ciò, tuttavia, non implica che chiunque possa controllare il conto di un’altra persona, dal momento che il Testo unico bancario disciplina le procedure di controllo, garantendo la tutela dei dati personali e sensibili dei clienti, come etnia, orientamento religioso, opinioni politiche, stato di salute o orientamento sessuale.
Tuttavia, al di là dei dati sensibili, l’Agenzia delle Entrate è autorizzata a esaminare il conto corrente di un contribuente qualora vi siano sospetti di evasione fiscale, verificando che i dati riportati nella dichiarazione dei redditi siano veritieri.

Nella maggior parte dei casi, le transazioni bancarie ordinarie non costituiscono un campanello d’allarme per il Fisco, tale da generare preoccupazione e, quindi, eventuali accertamenti fiscali. Operazioni frequenti come i bonifici per l’accredito dello stipendio o per il pagamento dell’affitto, ad esempio, non sono oggetto di indagini. Esistono, tuttavia, situazioni specifiche in cui le banche devono comunicare tutte le informazioni richieste.
Anche se tali operazioni non portano sempre a un controllo immediato, transazioni ripetute e considerate sospette possono indurre l’Agenzia delle Entrate a indagare sull’origine del denaro.
Ad esempio, tra le operazioni ritenute sospette, qualora ripetute nel tempo, rientrano bonifici di importo rilevante privi di una giustificazione plausibile, o trasferimenti – anche di piccole somme – effettuati frequentemente e che, complessivamente, raggiungono valori significativi. Anche i bonifici per cui non si riesce a motivare chiaramente lo scopo possono generare dubbi.
Un esempio riguarda i bonifici periodici inviati a terzi senza un motivo evidente, soprattutto se non esiste un legame di parentela tra mittente e destinatario. Tali movimenti potrebbero celare pagamenti per lavoro non dichiarato o per affitti non registrati.

In questi casi, l’Agenzia delle Entrate potrebbe valutare tali transazioni come irregolari rispetto alla normativa fiscale, avviando quindi verifiche specifiche.
Pertanto, al fine di evitare problemi con il Fisco, è consigliabile conservare tutta la documentazione idonea a giustificare trasferimenti significativi o bonifici ricorrenti.
Secondo la normativa vigente, i dati contabili devono essere conservati per un massimo di dieci anni. In base al Decreto “Salva Italia” del 2011, gli operatori finanziari sono obbligati a comunicare all’Anagrafe tributaria informazioni sui saldi e sui movimenti relativi ai cosiddetti “rapporti attivi”. Inoltre, banche e altri soggetti devono registrare e conservare per dieci anni i dati relativi alle operazioni finanziarie svolte al di fuori di rapporti continuativi, includendo informazioni anagrafiche dei titolari e dei soggetti coinvolti, come il codice fiscale.


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