Pubblicato il: 11/04/2025
Vediamo quindi cosa succede se un genitore vuole donare la casa di proprietà a uno solo dei figli: è possibile farlo? E, in caso affermativo, con quali limiti? In caso di lesione di legittima, quali sono i rimedi esperibili dagli altri fratelli?
Innanzitutto, è doveroso operare un breve cenno sulle caratteristiche della donazione: è un contratto a titolo gratuito con cui una parte (il donante) trasferisce a un’altra (il donatario) un bene o un diritto, senza ricevere nulla in cambio, per puro spirito di liberalità. È un atto solenne, e ciò significa che deve essere stipulato davanti a un notaio e alla presenza di due testimoni, a pena di nullità.
Nel caso in cui oggetto della donazione sia un bene immobile, come una casa, l’intervento del notaio è indispensabile anche ai fini della trascrizione nei registri immobiliari, perché la donazione sia opponibile anche a terzi.
Per rispondere al quesito centrale di questo articolo, la donazione della casa a uno solo dei figli è lecita, perché la legge non limita la disposizione dei propri beni per atto tra vivi. Ciò non significa, però, che sia definitiva. Questo perché la legge italiana tutela il diritto dei cc.dd. legittimari – il coniuge, i figli e, ove non ve ne siano, i genitori del defunto – garantendo loro una quota di eredità “intoccabile”, detta quota legittima.
Infatti, se la donazione supera la quota disponibile e incide su quella legittima spettante ai legittimari, questi possono impugnare la donazione attraverso un rimedio giuridico chiamato azione di riduzione.
Facciamo un esempio pratico. Supponiamo che un genitore abbia due figli e intenda donare la casa di proprietà a uno solo di essi. Alla sua morte, il patrimonio ereditario verrà suddiviso come segue:
- se il defunto lascia solo i due figli (senza coniuge), la legittima complessiva è pari a due terzi dell’eredità: un terzo spetta a ciascun figlio;
- il terzo rimanente costituisce la quota disponibile, che il genitore può destinare liberamente (anche con donazione a uno solo dei figli).
A tal proposito, per capire come incidano le donazioni dei propri beni fatte dal defunto quando era in vita, dobbiamo citare l’istituto della collazione.
Attraverso questo meccanismo, al momento dell’apertura della successione, dovranno essere “virtualmente” aggiunti all’asse ereditario anche i beni donati dal de cuius quando era in vita. Così facendo, essi concorreranno a determinare a quanto ammonta il valore complessivo dell’eredità.
L’unico modo in cui questa “riunione virtuale” può essere evitata è che il genitore donante disponga espressamente, direttamente nell’atto notarile di donazione, che essa sia fatta “con dispensa da collazione”.
Tuttavia, anche in questo caso, se la donazione lede la legittima, l’atto può essere impugnato dai legittimari aventi diritto.
Un figlio può rinunciare all’azione di riduzione? Sì, ma solo dopo la morte del genitore. Infatti, qualunque disposizione di beni compresi in una eredità futura, prima ancora che si apra la successione, per l’ordinamento giuridico italiano è nulla. L’art. 485 del c.c. sancisce il divieto di patti successori.
Dunque, donare la casa a uno solo tra i propri figli non è illegale, ma va fatto con le dovute cautele: diversamente, alla morte del genitore, potrebbero innescarsi conflitti familiari e controversie legali tra fratelli.
A tal fine, è sempre consigliabile:
– valutare con un notaio o un avvocato esperto in diritto successorio il valore dell’intero patrimonio;
– considerare la possibilità di bilanciare la donazione con altri beni o somme di denaro a favore degli altri figli;
– inserire nel testamento una clausola che giustifichi la disparità e spieghi la volontà del donante, in caso i rapporti familiari siano tali da rispettarla senza rivendicare i propri diritti sulla quota legittima di eredità.
Ricordiamo, infine, che l’azione di riduzione può essere esperita dai legittimari entro il termine di 10 anni successivi alla morte del donante. Decorso tale termine, la donazione diverrà definitiva e non più impugnabile.
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