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Donazione tra privati, ecco perché i notai la sconsigliano: tutti i rischi nascosti che probabilmente non conosci

Pubblicato il: 29/05/2025

Come indica l'art. 769 del c.c., la donazione è quel contratto con cui un soggetto, detto donante, si priva di uno o più beni di sua proprietà trasferendoli a un altro soggetto, definito donatario. Lo fa per puro spirito di liberalità, ossia in forma gratuita e senza richiedere nulla in cambio.

Ampiamente usata nei rapporti tra privati, la donazione è però frequentemente sconsigliata dai notai, i quali spiegano che ci sono vari motivi per cui, talvolta, ricorrere a questo istituto non è conveniente per i privati. Entrano in gioco, infatti, aspetti legati alla protezione dei diritti degli eredi legittimari, ai precisi requisiti di forma richiesti per la validità dell'atto e alle possibili cause di nullità del trasferimento di proprietà, che possono mettere a rischio la sicurezza di un successivo acquisto del bene donato. Ecco perché l'atteggiamento prudente di questi pubblici ufficiali non è legato a una contrarietà in sé verso la donazione, ma alla tutela delle parti coinvolte (donante, donatario e soggetti terzi).

Si pensi anzitutto al fatto che la donazione, pur essendo un atto solenne e definitivo, può essere revocata per ingratitudine del donatario, così come previsto dall'art. 801 del c.c.. In linea generale, con la revoca si verifica la perdita degli effetti dell'istituto nei confronti di chi riceve il bene; questo è il caso, ad esempio, del donatario che commetta reati gravi contro il donante. Al contempo, la donazione può essere revocata anche quando si verifica la cosiddetta sopravvenienza di figli, ai sensi dell'art. 803 del c.c., perché se il donante non aveva figli alla data della donazione e ne ha oppure ne riconosce uno in un momento successivo – salvo si provi che, al tempo della donazione, il donante aveva notizia dell'esistenza del figlio – può chiederne la revoca. L'effetto pratico che ne consegue è evidente, in quanto l'incertezza sull'efficacia della donazione nel corso del tempo può costituire un problema per eventuali vendite future di quanto donato.

E, proprio in tema di commerciabilità del bene, è opportuno ricordare che il bene donato può non essere facilmente vendibile, in quanto la donazione è impugnabile dagli eredi legittimari lesi nella loro quota di legittima, attraverso l'azione di riduzione di cui all'art. 555 del c.c.. Non solo. Per legge i terzi acquirenti del bene donato sono esposti all'azione di restituzione da parte degli eredi fino a vent'anni dalla trascrizione della donazione (art. 563 del c.c.).

In altre parole, alla morte del donante gli eredi possono aprire contenziosi lunghi e costosi per riequilibrare la successione e lo possono fare, ad esempio, in caso di donazione fatta in vita dal genitore a favore di un figlio. D'altronde si usa dire che questo istituto è considerabile come una sorta di anticipazione sull’eredità e, al contempo, la donazione può essere soggetta a collazione, ossia restituita o imputata alla quota ereditaria. Lo prevede l'art. 737 del c.c..

Non solo. Il contratto di donazione non è particolarmente raccomandato dai notai anche per la sua tipica mancanza di garanzie: come spiega l'art. 797 del c.c., infatti, a differenza della vendita nella donazione il donante non è tenuto a garantire il bene da vizi o evizione, salvo casi particolari (donazione "con obbligo di garanzia"). In termini pratici il donatario non ha specifiche tutele se, ad esempio, il bene è ipotecato, vincolato o soggetto a servitù sconosciute.

Non vanno, poi, dimenticati gli effetti fiscali potenzialmente onerosi per le parti perché, come previsto dal d. lgs. 346/1990 – ossia il Testo Unico sulle successioni e donazioni – alle donazioni si applicano imposte con aliquote e franchigie variabili, a seconda dei soggetti materialmente coinvolti nel trasferimento di proprietà. In particolare, se la donazione riguarda immobili sono altresì dovute imposte ipotecarie e catastali.

C'è poi da considerare che – in linea generale – la donazione è irrevocabile e proprio questo aspetto può influire negativamente sulla vita del donante, dopo aver perso proprietà e controllo del bene. Infatti chi dona non ha più alcun diritto sul bene (casa, terreno), se non si è riservato il diritto di usufrutto: il rischio concreto, quindi, è che, in caso di gravi difficoltà finanziarie sopravvenute, il donante possa trovarsi con seri problemi abitativi derivanti, in primis, dall'aver donato un appartamento. Ecco perché i notai suggeriscono strumenti alternativi come la donazione con riserva di usufrutto, vincoli o condizioni precise o i patti di famiglia (art. 768 bis del c.c.) nel caso delle aziende.

Concludendo, considerati aspetti come i rischi di conflitti successori, l'eventuale futura instabilità patrimoniale del donante, i possibili ostacoli futuri alla vendita o i costi fiscali e notarili in gioco, quella per la donazione deve essere una scelta ben ponderata, perché legata a risvolti pratici non sempre immediatamente percepibili.


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