Pubblicato il: 24/08/2025
Per come è strutturata la legge italiana, il semplice disinteresse non basta per dichiarare un figlio indegno a succedere.
L’indegnità a succedere è un concetto giuridico ben preciso, regolato dall’articolo 463 del Codice civile. Essa è una sanzione che esclude un erede dalla successione, quando questi ha compiuto atti talmente gravi contro il defunto (o i suoi stretti familiari) da rendere moralmente inaccettabile che riceva qualcosa alla sua morte.
La norma elenca in modo tassativo le situazioni in cui un erede è indegno a succedere. Tra queste, troviamo:
- omicidio o tentato omicidio del defunto, del coniuge o di un suo discendente/ascendente;
- fatti penalmente equiparati all’omicidio, come alcune forme di lesioni gravissime;
- calunnia nei confronti del defunto per reati molto gravi;
- violenza o dolo per costringere il defunto a fare, modificare o revocare un testamento;
- soppressione, alterazione o occultamento del testamento;
- falsificazione del testamento o uso consapevole di un testamento falso.
Come sopra esposto, si tratta di comportamenti estremi, non di questioni meramente personali, che siano di natura affettiva o morale. Possiamo, quindi, affermare che l’ordinamento giuridico italiano non punisce l’indifferenza affettiva con l’esclusione dall’eredità. Anche la giurisprudenza è chiara su questo punto: la rottura del rapporto familiare, se non accompagnata da fatti penalmente rilevanti o rientranti nei casi previsti dal codice, non legittima l’esclusione automatica dalla successione.
C’è un altro aspetto importante: i figli sono legittimari. Ciò significa che la legge riserva loro una quota minima dell’eredità, chiamata “quota di legittima”, di cui il genitore non può liberamente disporre nemmeno con il testamento, salvo – appunto – che ricorrano le condizioni di indegnità di cui si è parlato sopra.
Infatti, se il genitore decidesse di escludere il figlio dal testamento senza che alla base di questa decisione vi sia la sua indegnità a succedere, quel figlio potrebbe impugnare il testamento e chiedere la reintegrazione della sua quota, mediante azione di riduzione.
La porzione di legittima è una protezione per i familiari più stretti, un po’ come l’obbligo di provvedere al sostentamento dei familiari più prossimi durante la vita, quando questi si trovino in stato di bisogno: è un diritto che prescinde dall’affetto.
Certamente può sembrare ingiusto che un figlio assente riceva la stessa quota di chi, invece, ha assistito e curato il genitore fino all’ultimo giorno, ma il legislatore ha preferito dare certezza alle regole successorie, evitando che siano i giudici a valutare caso per caso la “qualità” dei rapporti familiari.
Qualora il dante causa volesse ridurre la quantità di beni destinati ai suoi eredi legittimi, egli ben potrebbe formulare un testamento e disporre liberamente della “quota disponibile”, variabile a seconda di quanti e chi siano i legittimari presenti, oppure designare dei legatari con dispensa da collazione. In tal caso, l'effetto per il testatore sarebbe quello di designare dei soggetti che, alla sua morte, riceveranno dei beni che resteranno esclusi dall’asse ereditario. Questo è un modo perfettamente lecito di ridurre la quantità di beni presenti nell'eredità e, di conseguenza, destinati ai legittimari.
Dunque, un figlio che si disinteressa dei propri genitori non è automaticamente indegno a succedere: l’indegnità richiede condotte gravissime e tipizzate dalla legge, mentre il disinteresse rientra nella sfera dei rapporti affettivi, che il diritto successorio non sanziona.
Chi vuole pianificare la propria successione in presenza di rapporti familiari difficili deve, quindi, agire preventivamente, informandosi bene su quali siano i limiti imposti dalla legge, mediante una consulenza con un avvocato specializzato in diritto successorio.
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