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Evasione fiscale, il Fisco e la GdF spiano le tue chat WhatsApp e possono usarle come prove fiscali: novità Cassazione

Pubblicato il: 13/03/2025

Negli ultimi anni, le tecnologie digitali hanno trasformato il modo in cui comunichiamo, ma anche quello in cui le autorità conducono le indagini. In un’epoca in cui le conversazioni si spostano sempre più sulle app di messaggistica, una recente sentenza della Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento già delineato dalla sentenza n. 1254 del 18 gennaio 2025: le chat di WhatsApp possono essere usate come prove nei controlli fiscali.
Con la sentenza n. 8376 del 28 febbraio 2025, la Cassazione ha stabilito che i messaggi scambiati sulle app di messaggistica possono essere considerati prove documentali valide in caso di accertamenti tributari e procedimenti fiscali. Questo significa che le autorità, come l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza, potrebbero analizzare le conversazioni per individuare eventuali comportamenti di evasione.
Il potere di sequestro del cellulare da parte delle autorità è un tema delicato, poiché comporta la necessità di bilanciamento tra l’esigenza investigativa dello Stato e la tutela della privacy dei cittadini. Con la sentenza n. 8376/2025 della Cassazione, si riafferma che il telefono cellulare, insieme ai dati in esso contenuti (incluse chat di WhatsApp e altri messaggi), possono essere sequestrati nell’ambito di un’indagine fiscale. Tuttavia, affinché un cellulare e il suo contenuto possano essere sequestrati, si devono rispettare precise condizioni.
Infatti, il sequestro di uno smartphone non viene disposto in automatico: deve essere giustificato dalla necessità di acquisire prove rilevanti per un'indagine. In particolare, nel contesto fiscale, può avvenire se:
  • vi sono fondati indizi di reato: le autorità devono dimostrare che il telefono potrebbe contenere prove di evasione fiscale o di altri illeciti tributari;
  • è autorizzato da un magistrato: il sequestro di dispositivi digitali deve essere disposto da un giudice, che valuta la legittimità e la proporzionalità della misura;
  • riguarda reati fiscali gravi: il semplice sospetto di evasione non è sufficiente. Il sequestro è più probabile in casi di frode fiscale, fatture false o occultamento di redditi.
Con la crescente digitalizzazione delle comunicazioni, il contenuto degli smartphone è diventato una miniera di informazioni per le indagini. Questa sentenza della Cassazione ha confermato che le conversazioni WhatsApp possono essere sequestrate e utilizzate come prova in tribunale, analogamente a documenti cartacei o registrazioni contabili.
Tuttavia, la validità probatoria delle chat dipende da alcuni fattori:
  • autenticità della provenienza: le autorità devono dimostrare che i messaggi provengono effettivamente dal soggetto indagato;
  • integrità del contenuto: Il contenuto della chat deve essere integro e non alterato;
  • modalità di acquisizione legittima: l’estrazione dei dati deve avvenire nel rispetto delle procedure legali, spesso con l’ausilio di periti informatici;
  • rispetto della privacy: il sequestro deve essere proporzionato all’indagine e non può trasformarsi in un controllo indiscriminato della vita privata di una persona.

La sentenza n. 8376/2025 stabilisce che le chat di WhatsApp possono essere considerate prove documentali valide, a condizione che ne siano garantite l'autenticità e l'integrità. In particolare, gli screenshot delle conversazioni possono essere ammessi come prova, purché non vi siano contestazioni sulla loro genuinità. In caso di dubbi sull'autenticità, spetta all'amministrazione fiscale fornire elementi che dimostrino l'integrità e l'autenticità delle conversazioni.
È importante notare che, anche se una chat è stata eliminata dall'autore, un eventuale screenshot salvato da un altro soggetto può essere considerato valido come prova documentale, a condizione che il contenuto non risulti alterato o manipolato.
L'utilizzo delle conversazioni private come prove solleva numerosi interrogativi con riguardo alla privacy degli individui. Sebbene le autorità fiscali abbiano il compito di contrastare l'evasione, è fondamentale garantire un equilibrio tra l'efficacia delle indagini e la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini. L'accesso alle comunicazioni personali deve essere effettuato nel rispetto delle normative sulla privacy e solo quando strettamente necessario per l'indagine.
La sentenza n. 8376/2025 della Corte di Cassazione rappresenta un'importante evoluzione nell'ambito delle indagini fiscali, riconoscendo le chat di WhatsApp come prove documentali valide.
Questo adeguamento alle nuove tecnologie offre alle autorità strumenti più efficaci e attuali per contrastare l'evasione fiscale, pur richiedendo un necessario e attento bilanciamento con la tutela della privacy dei cittadini. È essenziale che l'acquisizione e l'utilizzo di tali prove avvengano nel pieno rispetto delle normative vigenti, garantendo sì l'efficacia delle indagini, ma anche la protezione dei diritti individuali dei singoli cittadini.

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