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Lavoratore, non rischi il licenziamento anche se bestemmi e prendi a calci gli oggetti: nuova sentenza di Cassazione

Pubblicato il: 04/07/2025

Con ordinanza depositata il 30 giugno 2025, la Cassazione ha chiarito che lo scatto d'ira del dipendente non può dar luogo alla sanzione espulsiva del licenziamento in mancanza di aggressione fisica e di danni ai beni aziendali.

I fatti di causa
Nella fattispecie alla lente della Suprema Corte, un dipendente di un'azienda di imballaggi di materie plastiche, per sua stessa ammissione, aveva perso le staffe, prendendo a calci gli oggetti prodotti che gli capitavano sotto tiro e bestemmiando e inveendo con parole gergali contro tutti. Per tale condotta il datore di lavoro inoltrava la lettera di contestazione disciplinare in cui sottolineava che il lavoratore “aveva perso pesantemente il controllo di sé stesso”.

Le ragioni della decisione
Ad avviso della Suprema Corte, non si può ipotizzare un licenziamento per giusta causa in virtù del principio di proporzionalità della pena rispetto alla condotta.
In forza del principio di proporzionalità, l'interprete è tenuto a valutare l'intensità del pericolo o della lesione cagionata al bene giuridico tutelato, in relazione alle modalità della condotta punita, onde verificare se le conseguenze sanzionatorie che l'ordinamento ne fa discendere risultano proporzionate.
Ebbene, è stato riscontrato che i fatti avvenivano senza creare danni ai beni dell'azienda, trattandosi di flaconi di plastica, e senza che il collega avesse sentito le bestemmie proferite in quanto il rumore delle macchine lo impediva.
Non essendosi sentito minacciato verbalmente nessuno e non essendo stati danneggiati i beni aziendali, la Suprema Corte ha escluso la proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla concreta gravità della condotta, esauritasi quest'ultima in un episodio temporaneo di perdita di controllo, conseguente allo stress dell'ambiente di lavoro.

Si ricorda che già in altra occasione la Corte di Cassazione – con sentenza 23289/2009 – ha chiarito come gli stati d'ira temporanea e le parole fuori luogo rivolte ad un collega non ledono il rapporto fiduciario con l'azienda. Per questo non si può ipotizzare un licenziamento per giusta causa. Sulla scorta di tale motivazione la Corte aveva respinto il ricorso di un datore di lavoro, il quale si era opposto al reintegro di un lavoratore, licenziato dopo che – in presenza di tre colleghi – si era rivolto al consigliere aziendale con male parole e lanciandogli una cornetta del telefono.

Infine si rammenta che l'articolo 2087 del codice civile rappresenta una delle principali garanzie per la tutela dei lavoratori, prevedendo che il datore di lavoro è tenuto ad adottare tutte le misure necessarie a garantire non solo la sicurezza fisica, ma anche la dignità e il benessere psicologico dei propri dipendenti: “l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Tuttavia, quando queste condizioni mancano e il contesto lavorativo diventa fonte di disagio costante e/o di comportamenti vessatori, entra in gioco la responsabilità del datore di lavoro, la quale può estendersi anche a situazioni di stress.


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