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Lavoratore, ti spetta un risarcimento se vieni spostato a mansioni inferiori, ecco in quali casi: nuova sentenza

Pubblicato il: 18/09/2025

L’attribuzione al lavoratore di mansioni inferiori o non coerenti con il suo ruolo professionale rappresenta una questione delicata. Spesso percepito come una penalizzazione, il demansionamento può influire non solo sul prestigio e sulle competenze acquisite, ma anche sulle prospettive di crescita professionale.
La vicenda che ha condotto alla pronuncia della Corte di Cassazione n. 24133 del 28 agosto 2025 riguarda un lungo rapporto di lavoro subordinato presso Telecom Italia TIM S.p.A. Il dipendente A.A., da anni inserito nel settore delle Risorse Umane, con competenze consolidate in organizzazione del lavoro e relazioni sindacali, veniva trasferito nel maggio 2009 al settore informatico.

La decisione aziendale rientrava nell’ambito di una più ampia riorganizzazione interna, mirata a riallocare il personale nelle diverse Aree di Staff, con l’obiettivo di avvicinare i dipendenti al core business dell’impresa. Tuttavia, A.A. veniva assegnato, durante il periodo compreso tra il 1° maggio 2009 e il 30 aprile 2010, a mansioni considerate del tutto estranee rispetto alla professionalità acquisita nel corso di ben 26 anni di esperienza. I compiti affidatigli erano modesti, privi di rilevanza e non erano stati accompagnati da alcuna formazione specifica nel settore informatico.

Dalla contestazione della decisione aziendale alla sentenza definitiva
Contro tale decisione, il lavoratore adiva il Tribunale di Bari, richiedendo il riconoscimento del danno da dequalificazione professionale. Il Tribunale respingeva integralmente la domanda dell’attore, ritenendo insufficienti le prove da lui fornite.
Pertanto, A.A. impugnava la sentenza dinanzi alla Corte d’Appello di Bari, ottenendo un parziale accoglimento della propria richiesta.

La Corte territoriale, in particolare, riconosceva il danno da dequalificazione professionale, determinandone l’importo in oltre 53mila euro. La decisione si fondava su una valutazione attenta della documentazione prodotta e delle testimonianze, che dimostravano come le mansioni affidate fossero estranee al profilo professionale del lavoratore e avessero comportato un impoverimento delle competenze maturate nel corso degli anni.
Contro tale pronuncia, la società convenuta presentava ricorso in Cassazione, contestando la falsa applicazione dell’art. 2103 del c.c., che disciplina l’assegnazione delle mansioni, sostenendo altresì la carenza di prove circa il danno subito dal dipendente.

La decisione della Cassazione: confermato il diritto al risarcimento
Gli Ermellini hanno respinto il ricorso dell’azienda, confermando la sentenza d’appello. In particolare, i giudici hanno evidenziato come la Corte territoriale avesse correttamente valutato la documentazione e le testimonianze presentate, dimostrando che le mansioni assegnate al lavoratore erano estranee al suo bagaglio professionale, maturato nel settore delle Risorse Umane. Ad aggravare ulteriormente la situazione vi era l’assegnazione al dipendente di compiti informatici marginali, senza alcuna formazione adeguata e, talvolta, l’isolamento dai colleghi.

La Cassazione ha inoltre richiamato alcuni precedenti giurisprudenziali, tra cui le decisioni n. 21/2019 (“se è vero che il danno da demansionamento non è in re ipsa, tuttavia la prova di tale danno può essere data, ai sensi dell’art. 2729 cc, anche attraverso la allegazione di presunzioni gravi, precise e concordanti, sicché a tal fine possono essere valutati, quali elementi presuntivi, la qualità e la quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata qualificazione") e n. 34073/2021, secondo cui il danno derivante da demansionamento non sorge automaticamente, ma deve essere dimostrato mediante elementi concreti, presuntivi e coerenti.

Sono stati indicati alcuni parametri chiave per la quantificazione del danno:

  • qualità e quantità del lavoro svolto;
  • natura della professionalità posseduta;
  • durata del demansionamento;
  • nuova collocazione lavorativa rispetto al ruolo precedente;
  • anzianità e carriera maturata.

Inoltre, la Corte ha ribadito che la valutazione equitativa del risarcimento deve tenere conto del periodo effettivo di demansionamento, della gravità e della rilevanza delle mansioni affidate rispetto al profilo professionale del lavoratore.

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