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Lavoratori, attento a cosa fai nella vita privata, potresti venire licenziato per giusta causa: sentenza della Cassazione

Pubblicato il: 27/05/2025

In ambito lavorativo, l’elemento cardine di qualunque rapporto è rappresentato dalla fiducia tra azienda e dipendente, la quale non si basa solo sulla puntualità e la produttività in ufficio, ma tiene conto anche delle condotte e dei comportamenti che lo stesso lavoratore assume al di fuori dell’ambiente di lavoro. A ribadirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4797/2025, che chiarisce un punto cruciale: anche comportamenti extra-lavorativi possono giustificare il licenziamento per giusta causa, specie quando mettono in discussione i valori etici richiesti dal ruolo.

Il caso: stalking e licenziamento disciplinare
Un dipendente pubblico, in servizio presso la polizia municipale con la qualifica di istruttore, è stato licenziato in tronco dopo essere stato condannato, nell’ambito di un processo penale, per atti persecutori contro l’ex compagna. Sebbene i fatti non fossero legati all’ambiente professionale, il comportamento è stato ritenuto incompatibile con le funzioni di un agente a servizio della collettività.

L’iter giudiziario
Contro il provvedimento di licenziamento, il lavoratore ha presentato ricorso, fondato su due ragioni, ovvero una erronea valutazione della gravità della sua condotta e l’inidoneità della stessa a compromettere il rapporto di fiducia con l’amministrazione.
In primo grado, i giudici si erano pronunciati a favore dell’agente, ma in appello la situazione si è ribaltata: la Corte, infatti, ha riconosciuto la gravità delle condotte persecutorie, costituite da minacce e molestie ripetute, che avevano compromesso la serenità della vittima. Per la Corte, un simile comportamento – pur avvenuto al di fuori del contesto lavorativo – ha un impatto diretto sul rapporto professionale, vista la notevole gravità e illegalità delle condotte poste in essere. In particolare, i giudici d’appello hanno ravvisato nell’uomo una forte instabilità emotiva, tale da renderlo inidoneo a svolgere le funzioni di agente di pubblica sicurezza.

Cassazione: il licenziamento è proporzionato e giustificato
La Suprema Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento disciplinare per stalking, respingendo la tesi difensiva secondo cui la vita privata non dovrebbe influire sul lavoro. La sentenza sottolinea che i comportamenti antisociali e penalmente rilevanti possono compromettere il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, a maggior ragione se il dipendente opera in settori pubblici o sensibili. In particolare, si legge nella sentenza della Cassazione che i comportamenti dell’uomo sono “di tale gravità e riprovevolezza da giustificare il licenziamento, in quanto incompatibili con la specifica posizione lavorativa del dipendente chiamato ad operare a presidio degli interessi dell’intera collettività.

Reputazione, stabilità emotiva e incarichi pubblici: cosa dice la legge
Secondo la giurisprudenza sul licenziamento per giusta causa, non servono danni economici cagionati al datore di lavoro o precedenti disciplinari per legittimare il recesso. È sufficiente che emerga un’incompatibilità oggettiva tra il ruolo ricoperto e la condotta del lavoratore. La sentenza richiama anche il Contratto collettivo del comparto Funzioni Locali e l’art. 2119 del c.c., rafforzando il principio per cui la tenuta del rapporto di lavoro dipende anche dalla condotta morale del dipendente.

Implicazioni per tutti i lavoratori
La pronuncia ha portata generale e costituisce un precedente importante, anche per il settore privato. Un comportamento gravemente scorretto nella vita privata, estraneo all’attività lavorativa, può giustificare il recesso, se idoneo a minare la fiducia e l’equilibrio necessari per il tipo di attività svolta.


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