Pubblicato il: 20/03/2025
Questo istituto è regolato dall'art. 2110 del codice civile, oltre che dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL), che stabiliscono la durata specifica del comporto a seconda del settore e della categoria professionale.
Alcuni contratti distinguono, invero, fra:
- comporto secco, che si applica a una singola malattia continuativa;
- comporto per sommatoria, che conteggia tutte le assenze per malattia in un determinato periodo (ad esempio, 6 mesi in 2 anni).
Di qui la considerazione per cui è fondamentale verificare il proprio contratto collettivo, per sapere:
- il periodo di comporto applicabile;
- come lo stesso viene calcolato e quando si azzera;
- quali tutele economiche sono previste durante il comporto.
Ma il dipendente che abbia fatto numerose assenze dal lavoro e che tema, perciò, di essere licenziato per superamento del periodo di comporto può chiedere di essere messo in ferie?
Secondo l’indirizzo espresso dalla Cassazione – ordinanza n. 582/2024 – il dipendente ha il diritto di sostituire la ragione della propria assenza dal lavoro per “malattia” con “ferie”.
Ad avviso dei Giudici di legittimità, infatti, vige nel nostro ordinamento il principio di conversione delle cause di assenza dal lavoro, che rende possibile il mutamento del titolo dell’assenza stessa, anche se già in corso, in altro motivo che presupponga una diversa giustificazione.
La Suprema Corte ha anche evidenziato come il principio di conversione delle cause di assenza dal lavoro sia stato introdotto dalla giurisprudenza fin dalla sentenza n. 616/1987 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2109 del codice civile, nella parte in cui non prevede che la malattia occorsa durante le ferie possa interromperne il conteggio. Questo principio si applica a tutte le varie situazioni di sospensione dell’obbligo lavorativo.
Tuttavia, non è incondizionata facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute: spetta, comunque, al datore di lavoro il potere di stabilire la collocazione temporale delle ferie nell’ambito annuale, pur dovendo tenere in considerazione la posizione di quest’ultimo. Tali considerazioni sono state, da ultimo, ribadite dalla Cassazione con la sentenza 20 gennaio 2025, n. 1373.
In definitiva, il datore di lavoro è tenuto – a fronte di una simile richiesta da parte del dipendente – ad una valutazione adeguata alla posizione dello stesso, proprio perché esposto alla perdita del posto di lavoro con la scadenza del comporto. Tuttavia, un tale obbligo del datore di lavoro non è ragionevolmente configurabile qualora il lavoratore abbia la possibilità di fruire e beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto e, in particolare, quando le parti sociali abbiano convenuto e previsto, a tale fine, il collocamento in aspettativa, seppur non retribuita (cfr. Cass. n. 7566/2020; Cass. n. 8834/2017; Cass. n. 6143/2005; Cass. n. 21385/2004).
Infine, si rammenta che la Corte di Cassazione, con la sentenza 31 marzo 2023 n. 9095, ha sancito la nullità di un licenziamento per superamento del periodo di comporto nei confronti di un lavoratore disabile, qualora il CCNL non abbia differenziato tale periodo per i lavoratori affetti da patologie correlate alla disabilità, in quanto ciò si presta a forme di discriminazione indiretta.
Vai alla Fonte [mc4wp_form id="5878"]