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Lavoratori, scatta il licenziamento se fai troppe pause caffè e il datore ti scopre: nuova sentenza di Cassazione

Pubblicato il: 23/04/2025

La Corte di cassazione, con la sentenza 2 aprile 2025, n. 8707, ha ritenuto legittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore addetto al ritiro porta a porta di rifiuti urbani, a fronte dell’accertato inadempimento dell’art. 8 del D. Lgs. n. 66 del 2003, concernente le pause intermedie osservate durante l’orario di lavoro e, in particolare, le frequenti e prolungate soste in alcuni esercizi pubblici-bar dei Comuni ove il lavoratore doveva svolgere il servizio.

Ai fini della pronuncia è stato decisivo il quadro probatorio raccolto, composto dall’acquisizione di una relazione investigativa, dall’analisi dei GPS installati sui mezzi di raccolta dei rifiuti guidati dal dipendente e dalla deposizione di diversi testimoni.

In particolare, la Suprema Corte ha chiarito che il datore di lavoro, il quale sospetta comportamenti infedeli di un proprio dipendente, può legittimamente avvalersi di “detective privati” e, ripercorrendo un consolidato orientamento di legittimità, puntualizza alcuni punti chiave circa l’ammissibilità in giudizio degli esiti della relazione investigativa, rilevando quanto segue:

  • le disposizioni degli artt. 2 e 3 dello Statuto dei Lavoratori, nel limitare la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, non precludono a quest’ultimo di ricorrere ad agenzie investigative, purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata dall’art. 3 dello Statuto direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori;
  • l’intervento in questione è giustificato “per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione” (Cass. n. 3590 del 2011; Cass. n. 15867 del 2017);
  • i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti o integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo;
  • la nozione di “patrimonio aziendale” – tutelabile in sede di esercizio del potere di controllo dell’attività dei lavoratori – va intesa in una accezione estesa: il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio è, cioè, costituito non solo dal complesso dei beni aziendali, “ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico” (Cass. n. 2722 del 2012).

Il Collegio giudicante di legittimità ha, inoltre, precisato che “l’accertamento circa la riferibilità (o meno) del controllo investigativo allo svolgimento dell’attività lavorativa rappresenta una indagine che compete al giudice del merito” e constatato che le pause al bar erano frequenti, prolungate e non autorizzate: pause documentate non solo da GPS, ma anche da testimoni e da relazioni investigative.

Pertanto, alla luce di tali argomentazioni,  è stato ritenuto proporzionato il licenziamento per:

  • la reiterazione delle condotte;
  • la presenza di precedenti disciplinari;
  • il richiamo formale dell’ente committente;
  • la natura fraudolenta della condotta (es. rientro in sede dopo lunghe soste e timbratura regolare del foglio presenze).


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