Pubblicato il: 26/01/2025
Grazie ad agevolazioni fiscali, come pure a permessi lavorativi o all'accesso facilitato ai servizi sanitari e assistenziali, la legge 104 costituisce un primario strumento di inclusione sociale e riconosce e tutela i diritti delle persone con disabilità e dei loro familiari.
In materia vi è una ricca giurisprudenza che trae spunto, anche e soprattutto, dai conflitti tra datori di lavoro e dipendenti legati all'abuso dei permessi legge 104. I giudici sono stati infatti più volte chiamati a verificare l'effettivo l'utilizzo improprio delle agevolazioni previste dalla normativa, con specifico riferimento – per quanto qui espressamente interessa – ai permessi sfruttati per finalità non compatibili con quelle delineate dal legislatore.
Con l'ordinanza n. 1227 del 17 gennaio scorso, la Corte di Cassazione è nuovamente intervenuta sul tema, indicando un orientamento di sicura applicazione futura, in una pluralità di casi analoghi. In sostanza i giudici di piazza Cavour, nel ribaltare l'esito della sentenza di secondo grado, hanno affermato che è illegittimo licenziare un lavoratore subordinato che – nell'ambito delle ore di permesso 104 – fa acquisti nei negozi e compie una serie di attività complementari e accessorie all'accudimento del familiare disabile. Secondo la corte d'appello, invece, il tempo dedicato alla cura di quest'ultimo non sarebbe stato sufficiente per escludere un abuso dei permessi lavorativi.
In altre parole, la Suprema Corte ha affermato che – ai fini dell'uso dell'agevolazione in modo conforme alla legge – non rileva soltanto l'assistenza diretta o in presenza, dando così ragione al dipendente che aveva impugnato il recesso unilaterale da parte del datore, un'azienda regionale dei trasporti. L'uomo aveva infatti ritenuto ingiustificata tale sanzione disciplinare, rispetto alla condotta durante le ore di permesso. In particolare nel 2020 fu licenziato dopo alcuni controlli svolti dagli investigatori privati arruolati dallo stesso datore.
Come si può leggere nel testo dell'ordinanza, al fine di valutare il comportamento tenuto dal dipendente è di riferimento anche il criterio qualitativo, e non soltanto quello quantitativo. Conseguentemente, appaiono conformi al dettato della legge 104 anche le attività legate all'acquisto di cibo e bevande, di medicinali o di prodotti per l'igiene e la cura della persona, come pure quelle legate agli appuntamenti con il medico di famiglia o anche le attività necessarie a raggiungere l'abitazione del disabile. Ecco perché nell'ordinanza del 17 gennaio si trova scritto che: "Va tenuto conto non soltanto delle prestazioni di assistenza diretta alla persona disabile, ma anche di tutte le attività complementari ed accessorie, comunque necessarie per rendere l’assistenza fruttuosa ed utile, nel prevalente interesse del disabile avuto di mira dal legislatore".
Concludendo, la Cassazione ha quindi rimandato alla corte d'appello che – in diversa composizione – si dovrà pronunciare nuovamente nel merito, ma tenendo ben presente il pronunciamento del giudice di legittimità. Il dipendente a suo tempo licenziato è oggi in pensione, ma ciò non toglie che in questa ulteriore fase dell'iter giudiziario potrà chiedere un risarcimento correlato alle differenze retributive, all'epoca negate a causa del recesso.
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