Pubblicato il: 07/06/2025
È disabile, secondo la dizione legislativa (art. 3 L. 104/1992), "colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione"; sussiste situazione di gravità "qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale".
Peraltro, oggi, nel nuovo decreto sulla disabilità si adopera la locuzione “condizione di disabilità”, in luogo della parola “handicap", per indicare il significato più ampio di duratura compromissione fisica, mentale, intellettiva o sensoriale che, in presenza di barriere di natura diversa, può ostacolare concretamente la partecipazione alla vita quotidiana e ai diversi contesti di vita in condizione di uguaglianza con la collettività.
Fra i benefici previsti, la normativa riconosce al lavoratore c.d. caregiver (ossia, il lavoratore che presta assistenza al familiare con disabilità grave) la possibilità di usufruire del congedo straordinario.
Il congedo straordinario è il periodo massimo di due anni nel corso del quale il lavoratore, che assiste un familiare con disabilità grave ai sensi del comma 3 dell’art. 3 succitato, può assentarsi dal lavoro al fine di garantire una maggiore assistenza al disabile.
Partire per una vacanza, in Italia o all’estero, utilizzando il congedo retribuito è considerato una vera e propria truffa aggravata: l’assenza, difatti, è retribuita dall’Inps, quindi dalla collettività, che sopporta questi costi per garantire l’assistenza ai disabili gravi, non per consentire al lavoratore di godere di giornate libere in più oltre alle ferie.
Diversa è la situazione se, invece, è il disabile che deve essere accompagnato in vacanza: magari ha necessità di cure termali o di terapie particolari lontano dalla città di residenza, come raccomandato del medico che lo ha in cura.
Occorre sul punto chiarire che il legislatore non ha fornito indicazioni restrittive relative al luogo, su dove cioè debba essere prestata l’assistenza. Questo perché, in teoria, potrebbe essere ovunque, un qualsiasi luogo, purché funzionale al miglioramento delle condizioni di salute, biopsichiche, del disabile.
Laddove, invece, venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell'ente (cfr. Cass. 19-07-2019 n. 19580).
Pertanto attività come l’accompagnamento a trattamenti terapeutici benefici, inclusi quelli non convenzionali, come soggiorni in località marine o termali, possono rientrare legittimamente nell’uso dei permessi 104, sempreché vi sia una chiara giustificazione medica.
La normativa, peraltro, non impone di comunicare preventivamente all'INPS lo spostamento, né di chiedere un’autorizzazione formale. Si raccomanda, ad ogni modo, di conservare per eventuali controlli, un’autodichiarazione con l’indirizzo temporaneo e le date del soggiorno, allegando i documenti utili (prenotazione accessibile, biglietti, eventuale attestazione medica).
La comunicazione non è obbligatoria ma è prudente: potrebbe tornare utile per ribattere a contestazioni sulla perdurante convivenza e facilitare eventuali visite medico-legali.
Si ribadisce che, per pacifica giurisprudenza di legittimità in coerenza con la ratio del beneficio, l'assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l'esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l'assistenza al disabile. Il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela; solo ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi, non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e, dunque, si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto (cfr. Cass. n. 17968/ 2016) o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell'Ente assicurativo (v. Cass. n. 9217 del 2016).
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