Pubblicato il: 21/11/2024
Negli ultimi anni, le città italiane con alta densità abitativa hanno visto un aumento significativo della richiesta di monolocali, che sono diventati sempre più piccoli e costosi. Per far fronte a questa domanda, molti appartamenti sono stati frazionati, a volte in modo incontrollato, portando alcune abitazioni al di sotto dei limiti minimi di superficie previsti dalla legge. Tutto ciò ha creato numerosi problemi relativi all'agibilità degli spazi e, di conseguenza, alla loro salubrità.
Secondo la Legge 105/2024, conosciuta come "Salva Casa", un monolocale deve avere almeno 20 metri quadrati per una persona e 28 metri quadrati per due persone. Tuttavia, molti monolocali si trovano ben al di sotto di queste misure.
Alcuni proprietari, nel tentativo di sanare queste problematiche, sperano che il condono edilizio possa risolvere la situazione, ma le cose non sono così semplici.
Condono edilizio: una sanatoria che non risolve tutto
Il condono edilizio, previsto dalla Legge 47/85, ha consentito la regolarizzazione di abusi edilizi commessi in passato. È importante chiarire, però, che il condono non consente di derogare ai requisiti di agibilità e salubrità previsti dalla legge, che sono considerati imprescindibili. Anche se un immobile ha ottenuto il condono edilizio, ciò non implica che possa essere automaticamente considerato agibile o abitabile.
Un esempio pratico riguarda la costruzione di soppalchi o mansarde con altezze inferiori ai 2,70 metri: se queste strutture non rispettano i parametri minimi di sicurezza, non potranno ottenere l’agibilità, anche se sono state oggetto di condono.
Agibilità e condono: la verifica delle condizioni sanitarie
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 256/1996, ha sottolineato che le deroghe previste dal condono edilizio non riguardano le disposizioni legislative nazionali che tutelano la salute e l’ambiente.
In particolare, i Comuni sono obbligati a verificare che l’immobile rispetti le condizioni minime di salubrità, come previsto dall’articolo 221 del Testo Unico sulle Leggi Sanitarie (R.D. 1265/1934). Questo articolo stabilisce che un immobile può essere dichiarato abitabile solo se non presenta cause di insalubrità.
Inoltre, l’articolo 218 dello stesso Testo Unico stabilisce che i regolamenti locali devono garantire la salubrità delle abitazioni, assicurando che non vi siano difetti di aria e luce, che le acque siano potabili e che il sistema di smaltimento dei rifiuti non inquini l’ambiente circostante.
Il rischio del diniego del condono per problemi di salubrità
Di conseguenza, anche in caso di condono edilizio, i Comuni hanno il diritto di negare la sanatoria e l’agibilità se l’immobile non soddisfa i requisiti igienico-sanitari.
Lo conferma anche una sentenza del Consiglio di Stato, la n. 9752/2023, che ha ritenuto legittimo il diniego di condono per un immobile che presentava soppalchi con un’altezza inferiore ai 2,70 metri, non permettendo così il rispetto delle normative igienico-sanitarie.
La sentenza ha ribadito che le norme relative alla salubrità degli spazi abitativi non possono essere derogate per motivi legati alla regolarizzazione edilizia.
In altre parole, un immobile che non rispetta le condizioni minime di salubrità, come la ventilazione, l'illuminazione naturale e la distanza di sicurezza tra le strutture, non può essere considerato abitabile, nemmeno se è stato oggetto di condono.
Quindi, riassumendo:
- il condono edilizio non risolve i problemi di salubrità e sicurezza degli ambienti;
- le deroghe previste dal condono si applicano solo ai regolamenti edilizi locali, non alle leggi nazionali sulla salute;
- un immobile che non rispetta le normative igienico-sanitarie non può essere considerato abitabile, anche se è stato oggetto di condono;
- i Comuni sono obbligati a verificare il rispetto delle condizioni minime di salubrità, come stabilito dalle leggi sanitarie nazionali.
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