Pubblicato il: 07/05/2025
La tua scelta, molto probabilmente, non nasce da un’intenzione di evasione, bensì da una riflessione approfondita sul rapporto tra contribuenti e Stato, e dalla convinzione che un sistema fiscale meno oppressivo possa consentirti margini di profitto più dignitosi in proporzione all’impegno profuso.
Devi, allora, sapere che trasferire la residenza all’estero è un processo che richiede la tua attenzione su diversi aspetti normativi, soprattutto se desideri evitare contestazioni da parte del Fisco.
Ecco i principali profili giuridici da prendere in considerazione.
Preliminarmente, ricordiamo che il nostro legislatore, con la formulazione dell’articolo 2 del D.P.R. n. 917 del 1986, ha previsto che i cittadini residenti fiscalmente in Italia siano tassati per tutti i loro redditi, ovunque essi siano percepiti (in Italia e/o all’estero). Mentre, per i cittadini residenti all’estero, la tassazione italiana è applicabile soltanto per i redditi ivi prodotti.
Come chiarito dalla stessa Agenzia delle Entrate, si considerano residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte dell’anno d'imposta, hanno il domicilio nel territorio dello Stato. E, ai fini del concetto di "domicilio", assumono rilievo le relazioni personali e familiari. Di conseguenza, sono residenti nel Paese coloro che, per la maggior parte dell'anno, ossia per 183 giorni (da elevarsi a 184 giorni nel caso degli anni bisestili), instaurano e sviluppano in Italia legami affettivi.
Tra le relazioni personali e familiari rientrano, per quanto si ritiene, non soltanto i rapporti tipizzati come matrimonio e unione civile, ma anche le altre relazioni connotate da stabilità, quali le convivenze di fatto.
Riepilogando quanto appena detto, ne consegue che:
- se sei presente in Italia per un lasso temporale inferiore a 90 giorni, il periodo viene considerato come vacanza;
- se il tuo soggiorno si protrae per oltre 90 giorni, ma non supera i 182, si inizia a scorgere la volontà di restare in Italia per coltivare un qualsiasi interesse;
- la permanenza in Italia per un periodo di tempo superiore a 183 giorni porta a considerarti residente nel nostro Paese.
Non è significativo, pertanto, che si abbia la residenza fisica o il domicilio fiscale in Italia, in quanto ciò che conta è la permanenza. E questo rileva, in particolare, nel caso dei lavoratori in smart working, i quali, se sono nel Paese per la maggior parte del periodo d’imposta, dovranno pagare qui le tasse, in quanto considerati fiscalmente residenti in Italia, indipendentemente dalla sussistenza o meno di altri criteri di collegamento quali residenza civilistica, domicilio, iscrizione anagrafica.
E per quanto riguarda le società? Società ed enti sono considerati "residenti" quando hanno la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale in Italia per la maggior parte del periodo di imposta. I suddetti tre criteri sono alternativi. In particolare, il presupposto della sede dell’amministrazione viene declinato nei concetti della sede di direzione effettiva e della gestione ordinaria in via principale. Non è più considerato, quindi, come criterio per stabilire la residenza, “l’oggetto principale”.
Devi inoltre sapere che l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente in un comune italiano, per la maggior parte del periodo di imposta, costituisce un elemento formale di per sé sufficiente a determinare l’assoggettamento ad IRPEF del soggetto iscritto.
Secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 2 del T.U.I.R. la mancata iscrizione presso l’anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) comporta una presunzione legale relativa di residenza in Italia. Cosa significa? Significa che il contribuente, con adeguata documentazione, ha la possibilità di dimostrare la sua effettiva residenza fiscale estera. Peraltro, la medesima Corte di Cassazione, dal canto suo, in più occasioni ha ribadito che, da un punto di vista fiscale, l’iscrizione all'AIRE non costituisce una presunzione assoluta di residenza all’estero (Cass., n. 961/2015 e n. 9723/2015).
Come si anticipava, il contribuente ha la possibilità di dimostrare con elementi documentali la propria residenza fiscale all'estero. Esempi di questa documentazione possono essere:
- certificazione di residenza fiscale rilasciata dallo Stato estero (in caso di Stato in Convenzione con l’Italia, certificazione ex art. 4, par. 1 della Convenzione);
- documentazione relativa all’abitazione di residenza permanente all’estero;
- utenze domestiche intestate con evidenza dei consumi;
- documentazione legata all’attività di lavoro svolta all’estero (es. buste paga, contratti, etc);
- documentazione relativa alle dichiarazioni dei redditi presentate all’estero, come soggetto ivi residente;
- pagamenti di imposte fatti all’estero;
- documentazione nominativa in grado di dimostrare interessi personali, sociali, culturali all’estero.
È chiaro che il supporto della documentazione è necessario per convincere l’Amministrazione finanziaria di "essere nel giusto". In caso contrario l’Amministrazione ha la possibilità di far partire una contestazione verso il contribuente che, in mancanza di iscrizione AIRE, non abbia:
- dichiarato tutti i suoi redditi in Italia (ex art. 3 del T.U.I.R.);
- dichiarato le sue attività patrimoniali e finanziarie detenute all’estero ai fini del monitoraggio fiscale e del pagamento delle eventuali imposte patrimoniali.
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