Pubblicato il: 04/09/2025
La legge di Bilancio 2024 ha, infatti, introdotto un sistema meno favorevole per gli iscritti alle gestioni Cpdel, Cps, Cpi e Cpug – ovvero enti locali, sanità, insegnanti e ufficiali giudiziari – che al 31 dicembre 1995 avevano maturato meno di 15 anni di contributi. Per questa platea, la parte retributiva della pensione viene ora determinata con un’aliquota di rendimento fissata al 2,5% per ogni anno utile, percentuale inferiore a quella prevista in precedenza. Il risultato concreto è un assegno previdenziale più leggero rispetto a quello che sarebbe stato liquidato con le vecchie regole.
Per comprendere meglio: le aliquote di rendimento sono i coefficienti che servono a stabilire quanta parte di stipendio viene trasformata in pensione per ciascun anno di servizio. Nelle carriere caratterizzate da pochi anni calcolati col metodo retributivo, l’impatto della nuova aliquota si fa sentire in modo più marcato, riducendo il vantaggio rispetto al sistema contributivo.
L’INPS ricorda anche che l’età ordinaria per il collocamento a riposo d’ufficio dei dipendenti pubblici non è più 65 anni, ma è stata allineata ai 67 previsti per la pensione di vecchiaia. Ciò significa che la deroga alle nuove aliquote, originariamente applicabile per chi lasciava il lavoro a 65 anni, non potrà più essere utilizzata nei casi di cessazione dal servizio avvenuti dal 2025 in avanti, con età compresa tra 65 e 67 anni.
C’è tuttavia un’eccezione: le amministrazioni potranno trattenere in servizio, fino a 70 anni, i lavoratori che svolgono mansioni considerate insostituibili, a condizione che il dipendente sia d’accordo. Se, però, la risoluzione del rapporto avviene per dimissioni volontarie prima del compimento dei 70 anni, ma dopo aver già superato i 67, allora torna applicabile la deroga al nuovo sistema di calcolo.
La Uil-Fpl ha espresso forte contrarietà al nuovo regime, definendolo ingiusto e discriminatorio. Secondo la segretaria generale Rita Longobardi, la scelta di escludere dalla deroga chi va in pensione anticipata tra i 65 e i 67 anni comporta un ulteriore taglio dell’assegno per migliaia di dipendenti che garantiscono servizi essenziali alla collettività.
Il sindacato, inoltre, denuncia il problema irrisolto dei tempi di liquidazione del Tfr/Tfs, che, nonostante le pronunce della Corte Costituzionale, continuano a protrarsi da due a sette anni.
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