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Pensione anticipata, ecco come andare a 64 anni anche senza usare il TFR o fondi pensione integrativi: tutti i dettagli

Pubblicato il: 23/09/2025

Sostenere la previdenza complementare rientra fra gli obiettivi prioritari perseguiti dal Governo nell’ambito della prossima riforma previdenziale. Questo soprattutto perché la previdenza complementare potrebbe essere, forse, l’unico regime previdenziale in grado di sopperire al "buco" lasciato scoperto dalla previdenza obbligatoria.

La previdenza complementare – attualmente disciplinata dal D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 – rappresenta, infatti, il secondo pilastro del sistema pensionistico, il cui scopo è proprio quello di concorrere ad assicurare al lavoratore, per il futuro, un livello adeguato di tutela pensionistica, insieme alle prestazioni garantite dal sistema pubblico di base.

A tal fine la previdenza complementare è basata su un sistema di forme pensionistiche, incaricate di raccogliere il risparmio previdenziale mediante il quale – al termine della vita lavorativa – si potrà beneficiare di una pensione integrativa.

I destinatari dei fondi pensione sono:

  • i lavoratori dipendenti, privati e pubblici;
  • i soci lavoratori e i lavoratori dipendenti di società cooperative di produzione e lavoro;
  • i lavoratori autonomi e i liberi professionisti;
  • persone che svolgono lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari;
  • lavoratori con un'altra tipologia di contratto (ad es. lavoratore occasionale).

Il finanziamento delle forme pensionistiche complementari è a carico del lavoratore destinatario della prestazione e – in caso di rapporto di lavoro dipendente – in parte anche a carico del datore di lavoro. Inoltre, i lavoratori dipendenti possono decidere di integrare i versamenti contributivi altresì mediante il conferimento al Fondo del trattamento di fine rapporto (TFR).

Il TFR, disciplinato dall'art. 2120 del codice civile – sembra utile chiarire – costituisce un elemento della retribuzione, la cui erogazione è differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Ad oggi, dunque, l’adesione alla previdenza complementare è libera e volontaria (art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 252 del 2005).

Secondo il regime normativo attualmente vigente, il lavoratore dipendente, entro sei mesi dall'assunzione, può decidere di:

  • destinare le quote di TFR ancora da maturare ad una forma pensionistica complementare;
  • lasciare il TFR presso il datore di lavoro;
  • non decidere nulla. In questo caso il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, salvo accordi aziendali diversi. Nel caso di presenza di più forme pensionistiche, il TFR è trasferito, salvo diverso accordo aziendale, al fondo pensione al quale ha aderito il maggior numero di dipendenti.

Adesso si prospetta una possibile riforma dell’uso del TFR. "Stiamo valutando di proporre che il Tfr fermo all'Inps, delle imprese sopra i 50 dipendenti, possa essere una rendita, per dare un ristoro”, ha affermato Claudio Durigon, il sottosegretario leghista al Lavoro, nel corso di un convegno sulla previdenza. Si parla, dunque, della possibilità di impiegarlo per accedere in anticipo alla pensione, con il rischio concreto che non sia più possibile richiederne l’anticipo per altre esigenze personali.

Nel dettaglio, la proposta avanzata prevede di trasformare il TFR in una sorta di rendita mensile che andrebbe ad affiancare la pensione contributiva, consentendo così di anticipare l’uscita dal lavoro. In particolare, il meccanismo potrebbe essere rivolto a chi ha maturato i requisiti contributivi per la pensione anticipata, ma non riesce a raggiungere la soglia economica minima richiesta, pari a circa 1.616 euro mensili (tre volte l’importo dell’assegno sociale). In questi casi, il TFR verrebbe utilizzato per colmare il divario e garantire una transizione più agevole verso la pensione.
La proposta di riforma si presenta, dunque, come uno strumento che potrebbe cambiare il volto del sistema previdenziale, offrendo una porta d’accesso anticipata alla pensione attraverso una rendita pensionistica supplementare. Tuttavia, non sono poche le sfumature da considerare: dall’equità sociale, all’impatto sui bilanci aziendali, fino alla concreta sostenibilità per i redditi medio-bassi.

Ma quando servono davvero TFR e fondi integrativi?
TFR e fondi pensione non influiscono sull’età o sugli anni di contributi, ma solo sull'importo minimo richiesto per poter accedere alla pensione. Se l’importo della pensione INPS a 64 anni non raggiunge le soglie previste, si potrà integrare con:

  • la rendita dei fondi pensione complementari, oppure con
  • una quota del TFR.
Chi, invece, raggiunge l’importo minimo con i soli contributi versati all’INPS potrà:
  • percepire l’intero TFR normalmente, senza alcun vincolo con la pensione;
  • tenere da parte la rendita del fondo pensione, da usare eventualmente in futuro.
A partire dal 2026, dunque, alcuni contribuenti potranno andare in pensione già a 64 anni, ovvero con tre anni di anticipo rispetto alle regole attualmente in vigore. E, per chi ha avuto una carriera contributiva solida, sarà possibile farlo senza dover ricorrere al TFR o alle rendite dei fondi pensione.

Come si anticipava, tutto ruoterà attorno all’importo della pensione maturata: solo se l’assegno risultasse troppo basso si renderà necessario integrare con risorse aggiuntive, come il TFR o la pensione complementare. In caso contrario, l’uscita a 64 anni sarà pienamente accessibile con i soli contributi versati all’INPS.

La novità più significativa riguarda l’estensione della cosiddetta pensione anticipata contributiva a una platea molto più ampia di lavoratori. Non sarà più limitata, come accade oggi, a chi ha iniziato a versare contributi dopo il 1995, ma sarà aperta a tutti, a patto di rispettare determinati requisiti.
È quindi scorretto affermare che, per andare in pensione a 64 anni con 25 anni di contributi, sia sempre obbligatorio utilizzare il TFR o una rendita integrativa. In realtà, dal 2026 le possibilità saranno più ampie e meno vincolate. Per poter usufruire della pensione anticipata contributiva nel 2026, sarà necessario:

  • avere almeno 64 anni di età;
  • aver versato un minimo di 25 anni di contributi;
  • percepire una pensione pari ad almeno 3 volte l’assegno sociale (circa 1.620 euro mensili nel 2026);
  • per le donne con figli, la soglia si abbassa a 2,8 o 2,6 volte l’assegno sociale.

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