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Pensione d’invalidità, cambia l’importo minimo, da oggi riceverai almeno 603 euro: nuova sentenza Corte Costituzionale

Pubblicato il: 07/07/2025

L’assegno ordinario di invalidità è disciplinato dalla legge n. 222 del 1984 e spetta al lavoratore che, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, vede diminuita a meno di un terzo la sua capacità di prestare un’attività lavorativa confacente alle proprie attitudini.
L’assegno spetta senza limiti d’età ma, al compimento di quella stabilita per il diritto a pensione di vecchiaia, si trasforma, «in presenza dei requisiti di assicurazione e di contribuzione», in pensione di vecchiaia.
Ai fini del perfezionamento del diritto, l' art. 4 della citata legge, attraverso una serie di richiami normativi, richiede che il lavoratore abbia versato contributi per almeno cinque anni, di cui tre nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda amministrativa.

Ricorrendo entrambi i requisiti – medico-legale e assicurativo – l’assegno è calcolato secondo le norme in vigore nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, ovvero nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi; qualora esso risulti inferiore al trattamento minimo delle singole gestioni, l’assegno è integrato, «nel limite massimo del trattamento minimo, da un importo a carico del fondo sociale pari a quello della pensione sociale».

Con ordinanza del 16 settembre 2024 la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 16, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), «in combinato disposto» con l’art. 1, comma 3, della legge 12 giugno 1984, n. 222 (Revisione della disciplina della invalidità pensionabile), in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, «nella parte in cui non prevede la corresponsione dell’integrazione al minimo dell’assegno ordinario di invalidità, in presenza dei requisiti contributivi e reddituali previsti, che sia calcolato interamente con il sistema cd. contributivo».

Nelle proprie argomentazioni la Corte di Cassazione premette come l’integrazione al minimo della prestazione previdenziale in generale, e dell’assegno ordinario di invalidità in particolare, svolga la funzione di garantire che il trattamento pensionistico raggiunga quel livello base, ritenuto necessario ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle «esigenze di vita», secondo la previsione dell’art. 38, secondo comma, della Costituzione.

Con la sentenza n. 94, depositata il 3 luglio 2025 la Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione e dichiarato illegittimo il divieto di integrazione al minimo per gli assegni di invalidità calcolati con il solo sistema contributivo.
È "irragionevole e discriminatorio" – e, pertanto, in contrasto con l’art. 3 Cost. – distinguere tra sistema retributivo e contributivo per il calcolo dell’assegno ordinario di invalidità, per consentire poi l’integrazione al minimo solo nel primo caso, "tanto più che il sistema contributivo sarebbe tendenzialmente meno favorevole e più restrittivo rispetto a quello retributivo".

Tuttavia, la dichiarata illegittimità della disposizione non ha effetto retroattivo: chi ha percepito un importo più basso in passato non riceverà arretrati.
L’aumento si applicherà solo ai nuovi assegni di invalidità liquidati dopo l’entrata in vigore della sentenza, cioè dal giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Da quel momento in poi, tutti i trattamenti che risultano inferiori a 603,39 euro verranno automaticamente adeguati a tale soglia.

Grazie a questa novità, pertanto, l’integrazione al minimo si applica esclusivamente agli assegni di invalidità, nella misura in cui risultino inferiori all’importo minimo previsto per l’anno di riferimento. Tuttavia, chi ha ricevuto in passato una pensione inferiore per effetto del sistema contributivo non potrà recuperare le somme non percepite.


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