Pubblicato il: 04/06/2025
Chi ha lavorato nel settore pubblico, infatti, si trova di fronte a una serie di ostacoli fiscali che rendono meno conveniente il trasferimento. Vediamone le motivazioni.
Il principio di base – che regola la tassazione delle pensioni percepite da cittadini italiani residenti all’estero – è quello delle convenzioni bilaterali che vietano le doppie imposizioni tributarie, stipulate tra l’Italia e molti Paesi nel mondo.
Queste convenzioni hanno lo scopo di evitare che uno stesso reddito venga tassato due volte: sia in Italia, dove viene erogata la pensione, sia nel Paese estero, dove il pensionato risiede. In base a tali accordi, se una persona riceve una pensione da un ente previdenziale italiano e risiede stabilmente in un altro Paese, la tassazione della pensione può spettare:
- all’Italia,
- al nuovo Stato di residenza,
- oppure essere suddivisa tra i due Stati, a seconda della fonte del reddito e del tipo di pensione.
Secondo la maggior parte delle convenzioni internazionali contro la doppia imposizione, infatti, le pensioni erogate per un lavoro svolto nel settore pubblico continuano a essere tassate esclusivamente in Italia, anche se il pensionato si è trasferito all’estero. Dunque, per chi ha svolto impieghi nella Pubblica Amministrazione, la decisione di trasferirsi all’estero può costargli una doppia imposizione sulla pensione, sia da parte dello Stato erogante che dello Stato in cui elegge residenza.
Al contrario, chi ha percepito una pensione da lavoro privato può beneficiare della tassazione nel nuovo Stato di residenza, che spesso prevede aliquote più favorevoli o anche esenzioni fiscali per attrarre pensionati stranieri.
Al momento, l’Italia mantiene il principio della tassazione esclusiva in Italia per i redditi da pensione pubblica: ciò si riflette nella maggior parte delle convenzioni. L’obiettivo di questa scelta è evitare che pensioni pagate dallo Stato italiano vengano sottratte al fisco nazionale, garantendo entrate certe all’erario.
Tuttavia, alcune convenzioni prevedono eccezioni solo in presenza di specifici requisiti, come ad esempio la cittadinanza esclusiva dello Stato estero. Dunque, non è sufficiente la sola elezione della residenza nello stato estero scelto.
Dunque, se – per i pensionati privati – la residenza fiscale all’estero può comportare significativi vantaggi economici, per gli ex dipendenti pubblici il trasferimento potrebbe tradursi in un danno, poiché vivere all’estero comporterebbe l’applicazione di due imposizioni fiscali, relative a due diverse nazioni.
Al momento, per i pensionati ex dipendenti pubblici, gli unici Stati ove è possibile eleggere residenza senza essere soggetti a doppia imposizione sono Cile, Senegal, Australia e Tunisia. Qui le convenzioni bilaterali stipulate dall’Italia prevedono espressamente che le pensioni, erogate agli ex dipendenti pubblici, siano oggetto di divieto di doppia imposizione e vengano tassate solo dall’Italia, derogando così alla regola di cui al Modello di Convenzione dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) contro le doppie imposizioni fiscali.
Vai alla Fonte [mc4wp_form id="5878"]