Pubblicato il: 25/10/2025
Ebbene, l'art. 545 del c.p.c. è di essenziale riferimento per capire quali tutele si applicano allo stipendio accreditato sul conto corrente, in caso di pignoramento. Ci sono due distinte situazioni da considerare. Vediamo la prima. L'appena citato articolo stabilisce che, al momento della notifica dell'atto alla propria banca, le giacenze collegate al versamento di stipendi, salari o altre indennità lavorative sono – in linea generale – protette al fine di garantire quel che, in gergo, è definito "minimo vitale". Ebbene, la legge stabilisce che le somme depositate sul conto corrente anteriormente alla data del pignoramento possono essere oggetto dell'atto espropriativo, ma soltanto per l'ammontare sopra il triplo dell'assegno sociale. Essendo il suo ammontare pari a 548,69 euro per l'anno in corso, il tetto di impignorabilità si situa a 1.616,97 euro per il 2025. Tale tetto vale anche per i debiti nei confronti dell'Agenzia delle Entrate.
C'è una sorta di franchigia operante d'ufficio, una quota esente in automatico perché la protezione delle somme non abbisogna di alcuna istanza, opposizione o iniziativa processuale del debitore. Anzi, la banca – in qualità di soggetto terzo pignorato – è tenuta ad applicarla direttamente al momento della notifica dell'atto di pignoramento. In sostanza, il legislatore ha voluto assicurare una tutela minima e immediata, una "zona protetta" del conto corrente che garantisca al debitore la possibilità di mantenere una base economica indispensabile alla sopravvivenza.
Ricapitolando, almeno una parte della giacenza sarà sempre lasciata nella piena disponibilità del correntista debitore ma, specialmente in caso di consistenti somme sul conto, il creditore ha libertà di pignorarle tutte, eccetto quelle comprese nel citato limite.
La seconda situazione descrive uno scenario diverso. Cosa succede agli accrediti dello stipendio posteriori alla notifica dell'atto di espropriazione forzata? Ebbene, in queste circostanze, non si applica più la suddetta soglia limite, ma – per le retribuzioni versate sul conto del debitore – valgono i limiti ordinari di pignorabilità stabiliti dalla legge. Lo schema delineato dalla legge è il seguente:
- per i crediti di natura ordinaria (ossia non alimentari o tributari), la retribuzione può essere pignorata nella misura massima di un quinto (1/5), calcolato sul netto e cioè dopo le trattenute di legge. Ai sensi dell'art. 545 c.p.c, l'istituto di credito sarà così tenuto – in veste di terzo pignorato – a bloccare esclusivamente una frazione ridotta di ciascuna delle mensilità accreditate a seguito della notifica dell'atto, tenendo liberi i restanti quattro quinti;
- per i crediti riconducibili all'Amministrazione finanziaria, le norme proteggono il contribuente-debitore con un regime speciale previsto dall'art. 72 ter delle disp. risc. imp. redditi, che tiene conto dell'importo mensile del reddito da lavoro. In particolare è pignorabile un decimo dello stipendio, se il suo importo è fino a 2.500 euro; un settimo per retribuzioni da 2.501 a 5.000 euro; e un quinto per stipendi al di sopra dei 5.000 euro.
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