Pubblicato il: 25/01/2025
In particolare – come si legge nel dispositivo – si condanna il Comune di Napoli "a far cessare le immissioni di rumore provenienti da piazza Vincenzo Bellini e zone limitrofe, e ad adottare le cautele idonee a riportare le immissioni entro la soglia della normale tollerabilità anche mediante la interdizione dell'uso di strumenti musicali amplificati, tamburi, bonghi ed ogni altra attrezzatura idonea alle emissioni acustiche utilizzate senza previa autorizzazione da parte del Comune, nonché mediante la predisposizione di un servizio di vigilanza con l'impiego di agenti comunali, nonché anche mediante l'installazione di strutture fonoassorbenti o fonoriflettenti".
Il caso ha messo in evidenza un problema crescente nei centri storici delle città, ovvero il disturbo da rumore, causato principalmente dalla movida e dalle attività musicali, che si protraggono spesso fino a notte fonda, creando disagi per i residenti.
Nel caso di specie le immissioni di rumore, rilevate sia durante il giorno che di notte, sono state ritenute superiori ai limiti previsti dalla legge, con un impatto significativo sulla qualità della vita di chi risiede in zona.
Soprattutto, la condanna del Comune non solo sottolinea la necessità di una maggiore regolamentazione delle attività pubbliche, ma si configura anche come un impellente monito riguardo alla responsabilità delle amministrazioni locali nella tutela del benessere dei cittadini.
A tal proposito, si segnala l'orientamento espresso di recente dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 18676 del 9 luglio 2024, secondo cui anche il Comune è ritenuto responsabile per i danni derivanti da rumori intollerabili provenienti da aree pubbliche.
La Suprema Corte osserva, innanzitutto, che il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale e “variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti”.
Pertanto, i limiti posti dai singoli regolamenti comunali sono puramente indicativi, in quanto anche immissioni che rientrino in quei limiti possono considerarsi intollerabili nella situazione concreta, posto che la soglia di tollerabilità è, per l'appunto, da valutare tenendo conto dei luoghi, degli orari e delle caratteristiche della zona.
La tutela del privato che lamenti la lesione, anzitutto, del diritto alla salute (costituzionalmente garantito ex art. 32 e incomprimibile nel suo nucleo essenziale), ma anche del diritto alla vita familiare, cagionata dalle immissioni (nella specie, acustiche) intollerabili ex art. 844 del codice civile, provenienti da area pubblica (nella specie, da una piazza), trova fondamento anche nei confronti degli enti pubblici.
Una volta emesse le ordinanze in materia, il Comune è titolare anche del dovere giuridico di farle rispettare. Le amministrazioni locali, pertanto, sono responsabili se non adottano tutte le misure necessarie affinché un'ordinanza che regolamenta l'ordine pubblico venga rispettata.
Ne consegue che la responsabilità per il danno alla salute non è solo del singolo trasgressore per il mancato rispetto di una prescrizione dell'autorità amministrativa, ma anche della stessa amministrazione, la quale è chiamata a rispondere sul perché non ha posto in essere le azioni necessarie a far rispettare quella prescrizione. Sostiene, infatti, la Cassazione: "anche un ente pubblico è soggetto all'obbligo di non provocare immissioni rumorose ed è responsabile dei danni conseguenti alla lesione dei diritti dei privati, cagionata da immissioni provenienti da aree pubbliche, potendo conseguentemente essere condannato al risarcimento del danno, così come al facere necessario a ricondurre le dette immissioni al di sotto della soglia della normale tollerabilità" (Cass., SS.UU, n. 18676/2024 e n. 5668/2023).
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