Pubblicato il: 26/01/2025
Il trattamento di fine servizio (TFS) – che prende vari nomi, quali buonuscita, indennità premio di servizio e indennità di anzianità – è un concetto simile, anche se non uguale. Anche questa è un’indennità in denaro corrisposta alla cessazione del lavoro, ma si riferisce unicamente ai dipendenti pubblici.
La disciplina del trattamento di fine rapporto si rinviene nell'art. 2120 del c.c., nel quale si legge – tra l'altro – che "il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70 per cento sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta".
Inoltre, la norma specifica che la richiesta deve essere giustificata dalla necessità di:
- eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche. Tali spese devono soddisfare due requisiti: la necessità e la straordinarietà;
- acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato con atto notarile.
Ulteriori ipotesi di ammissibilità dell'anticipazione del TFR sono declinate dalla L. n. 53 del 2000:
- spese affrontate dai dipendenti che, quali genitori, si avvalgano del diritto di assenza facoltativa o per la malattia del bambino;
- genitori che abbiano presentato domanda di congedo per la formazione, accolta dal datore di lavoro;
- genitori che abbiano partecipato ad iniziative di formazione continua.
Di fatto la c.d. anticipazione ordinaria del trattamento di fine servizio o trattamento di fine rapporto è un anticipo in prestito o finanziamento a tasso fisso (1% più lo 0,50% di spese di amministrazione), utile a risolvere il problema dei tempi – non di rado piuttosto lunghi – dell’erogazione ordinaria del trattamento. Per i dipendenti pubblici l'attesa può addirittura arrivare a sei o sette anni.
Ebbene, le ultime notizie che – in materia – arrivano dall'INPS non sorridono a coloro che avevano in mente di sfruttare quest’agevolazione originariamente varata nel 2023.
Motivo? Mancano le risorse e ciò nonostante l’indirizzo espresso dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 130 del 2023) che, con riferimento ai pensionamenti di vecchiaia e a quelli per raggiunto limite ordinamentale, ha stabilito che il differimento del pagamento del TFS “contrasta con il principio costituzionale della giusta retribuzione” ed è ulteriormente “aggravato dal vulnus della rateizzazione” e dagli anticipi erogati da INPS/Banche, ritenuti “un finanziamento oneroso che riversa sul lavoratore il costo della fruizione tempestiva”; da qui l’invito al legislatore ad “individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore”.
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